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domenica 19 marzo 2017

Il modo migliore per imparare è divertirsi - Albert Einstein


Nel 1915 Albert Einstein aveva appena portato a compimento otto anni di studi intensi ed estenuanti enunciando in due pagine che sarebbero passate alla storia la sua Teoria della Relatività Generale.

A quell’epoca Einstein aveva 36 anni e viveva a Berlino con la cugina Elsa, che più tardi  diventerà la sua seconda moglie. Einstein aveva già due figli, Hans Albert ed Eduard detto “Tete”,che vivevano a Zurigo con la sua prima moglie Mileva.

Einstein con la prima moglie, Mileva, ebbero una figlia di nome Lieserl, di cui non si sa nulla  si pensa addirittura che non sia sopravvissuta o che sia stata data in adozione. Hans Albert è il secondo, e nel 1915 aveva 11 anni. Il terzo figlio, Eduard, ne aveva 5. Hans Albert divenne ingegnere ed Eduard divenne psichiatra.
Questa è la lettera che Einstein inviò in quei giorni all’11enne Hans Albert. Si tratta di un documento preziosissimo poiché contiene i consigli che una delle più grandi menti della storia umana dà a suo figlio sullo studio e l’apprendimento.



È questo il modo per imparare di più, quando fai una cosa con talmente tanto divertimento che non ti accorgi del tempo che passa. Il segreto dello studio è divertirsi.



Può sembrare quasi banale per la semplicità di questo consiglio, eppure oggi molte teorie pedagogiche si basano proprio sull’idea che l’apprendimento più efficace sia prorpio quello che passa per il divertimento e il gioco. Hans Albert Einstein, il figlio di Einstein, divenne  ingegnere e insegnante, ed ebbe una carriera di successo.

Il segreto della vita sta nelle cose semplici, e piccole, nel piacere stesso della vita, nel saperne godere e nel viverla pienamente che significa anche e soprattutto divertirsi.
Attraverso il divertimento passa una magia che permette a bambini e adulti di crescere, imparare, e diventare  adulti  non  frustrati per le ore passate a studiare cose che non amano, ma che sono felici di aver studiato divertendosi, godendo dell’imparare, e prendendo alla vita ciò che la vita ha da offrire.


Mio caro Albert, 

Ieri ho ricevuto la tua cara lettera e ne sono stato molto felice. Già temevo che non mi avresti scritto mai più. Quando ero a Zurigo mi avevi detto che è strano per te quando vengo lì. Perciò penso che sia meglio se stiamo insieme da qualche altra parte, dove nessuno possa interferire col nostro benessere. In ogni caso farò in modo che ogni anno possiamo passare un intero mese insieme, così che tu veda che hai un padre che ti ama ed è pazzo di te. Da me puoi anche imparare tante cose buone e meravigliose, cose che altri non potrebbero offrirti tanto facilmente. Ciò che ho imparato con tanto duro lavoro non deve servire solo agli estranei, ma soprattutto ai miei ragazzi. Proprio in questi giorni ho completato una delle opere più belle della mia vita e, quando sarai più grande, te ne parlerò.

Mi fa tanto piacere che il pianoforte ti diverta. Insieme alla falegnameria si tratta, secondo me, del miglior passatempo per la tua età, anche meglio della scuola. Perché sono attività che ben si adattano a una persona giovane come te. Al piano, suona soprattutto le cose che ti piacciono, anche se il maestro non te le assegna. E’ questo il modo per imparare di più, quando fai una cosa con talmente tanto divertimento che non ti accorgi del tempo che passa. A volte io stesso sono così coinvolto nel mio lavoro che mi dimentico di pranzare. E gioca ad anelli con Tete, migliorerà la tua agilità. Qualche volta vai anche dal mio amico Zangger, è una cara persona.

Baci a te e a Tete,

Papà.

Salutami la Mamma.














Fonte 3nz.it
MLince Grassi



giovedì 16 marzo 2017

Niccolò Paganini

Niccolò Paganini (Genova, 27 ottobre 1782 – Nizza, 27 maggio 1840) fu un noto musicista e compositore italiano noto anche per i suoi virtuosismi con il violino. Fu inoltre un esponente di spicco della musica romantica.


Proveniente da una famiglia di modeste condizioni, il padre Antonio Paganini,un uomo con la passione per la musica ma che si occupava di imballaggi, la madre Teresa Bocciardo,durante la giovinezza riceve dal padre lezioni di mandolino e chitarra e  lo indirizza anche verso lo studio del violino.

In ambito musicale Niccolò fu un autodidatta, poiché ricevette lezioni da maestri di scarso valore e preparazione,ma continuò gli studi di violino, ricevendo successivamente altre lezioni che gli vennero impartite da Giovanni Costa, maestro della Cappella della Cattedrale di Genova e da Francesco Gnecco, che svolgeva la professione di operista.

Di Paganini esistono pochissime immagini. Egli era di corporatura esile e soffriva d'esaurimenti nervosi,  stati di affaticamento e attacchi di emottisi. Ma la cosa più evidente era la particolarità del suo aspetto fisico: dita ossute, lunghe e affusolate, mani pallide solcate da vene in forte rilievo e con  piedi sproporzionati.
Durante le sue esibizioni Paganini contorceva il corpo e mani in pose bizzarre .

Oggi si sa che Paganini soffriva probabilmente di una rara sindrome chiamata di Marfan che caratterizzava il suo aspetto e dava alle sue mani una forma straordinariamente allungata e affusolata che gli permise di raggiungere dei livelli tecnici ineguagliati e che secondo gli esperti, questa patologia accomunò parecchi illustri personaggi: dal Presidente americano Abram Lincoln a Charles de Gaulle, da Talleyrand-Périgord a Sergei Rachmaninov, il faraone Akhenaton, ma anche Joey Ramone  cantante del gruppo punk-rock Ramones.

Nel 1795, dopo aver partecipato a molti concerti nella Cattedrale di Genova, partì per Parma con l'obiettivo di intraprendere gli studi in compagnia di Alessandro Rolla il quale affida il ragazzo a Ferdinando Paer che peròessendo in partenza per l'Austria, lo consiglia di rivolgersi a Gaspare Ghiretti, il maestro che gli dette lezioni di composizione e di contrappunto.

Nel periodo trascorso a Parma si ammalò di polmonite, per cui fu costretto a fare dei salassi per guarire . In questa circostanza, a causa della cura, si indebolì fisicamente e dovette trascorrere un periodo di convalescenza  nella casa paterna a Romairone doveil padre lo obbligò a studiare per circa dieci o dodici ore al giorno violino.

La creatività di Paganini è enorme sino al punto  di riuscire a riprodurre, col violino, i suoni della natura, il verso degli uccelli e  di altri animali. In questi anni tiene vari concerti in Italia settentrionale e per il suo estro creativo fu accolto con  entusiasmo in Toscana.

Nei sei anni successivi,  suona nella Cattedrale di Lucca in occasione della Festa di Santa Croce diventando uno stimato concertista, e durante quel periodo ebbe il tempo per dedicarsi allo studio più approfondito della chitarra a sei corde e anche all'agricoltura.

Nel 1802 partecipa a vari concerti tenutisi a Livorno ,poi dal 1805 al 1809 fu in servizio a Lucca presso la corte di Elena Baciocchi sorella di Napoleone. Negli anni trascorsi a Lucca dà ripetizioni al marito di Elisa e felice, e si esibirà col violino nei concerti di corte. Grazie a queste esibizioni inizia la sua esperienza come direttore d'orchestra e diresse l'opera: "Il matrimonio segreto di Cimarosa".


Considerando troppo gravosi gli impegni di corte, nei due anni successivi, Niccolò  lascia Lucca per dedicarsi completamente all'attività concertistica e si esibirà soprattutto in Emilia Romagna. Nel 1813 soggiorna a Milano, dove si esibirà presso il Teatro della Scala e presso il Teatro Carcano. L'anno successivo si esibirà anche in vari concerti a Pavia e nel Teatro Carignano di Torino.

Tornato a Genova, conoscerà Angiolina Cavanna con cui intratterrà una relazione amorosa e scapperà con lei a Parma. La giovane rimane incinta, per cui fu costretto a tornare a Genova, dove il padre di lei lo denuncerà per rapimento e  seduzione di minore. In quest'occasione Paganini fu costretto a passare una settimana in carcere.

Nello stesso anno si esibirà a Genova al Teatro S. Agostino. Dopo essersi esibito, negli anni successivi, nel Teatro della Scala di Milano, a Venezia, Trieste, Torino e Piacenza,Nel 1818 soggiornò a Bologna, dove conoscerà Maria Banti, con cui intrattenne una successiva relazione.

Poi terrà concerti a Roma, Napoli e Palermo e intorno al 1820 il suo stato di salute peggiorò e  contrasse la sifilide che curò a Milano, dove si trasferì. Dopo essersi rimesso, conobbe la cantante Antonia Bianchi con la quale convivrà per alcuni anni e dalla quale nel 1825 ebbe un figlio, Achille.

In seguito si esibirà a Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Genova, Milano e Torino finchè nel 1828 partì per Vienna, dove ottenne un enorme successo, al punto che il pubblico gli chiede più volte addirittura la ripetizione del suo concerto. Durante questo periodo però si separò legalmente dalla compagna, ottenendo l'affidamento del figlio.

Nel biennio successivo parteciperà ad una  tournée concertistica in Germania e in Polonia, dove conobbe Chopin, Schumann, Pontini, Clara Wieck e Meyerbeer.  e dove in questo periodo, viene nominato dal re di Prussia "Maestro di Cappella di Corte" e vivrà con il figlio nella città tedesca di Francoforte.
L'anno dopo Paganini partì per Parigi, dove tenne numerosi concerti e durante questo soggiorno l'impresario inglese Laporte gli propose dei concerti in Inghilterra. Fino al 1833 svolgerà la sua attività concertistica sia in Francia che  in Inghilterra. Ma a causa di uno scandalo in cui rimase coinvolto per la sua relazione amorosa segreta con Charlotte Watson, tornò in Italia dove soggiornò a Parma e dove otterrà anche una medaglia d'oro coniata appositamente per lui e nello stesso anno la Marchesa di Parma Maria Luigia gli propose di diventare membro della Commissione artistica del Teatro Ducale. Inoltre assumerà l'importante carica di sovrintendente della Commissione, che però lascerà presto a causa di intrighi contro i suoi progetti.

Nel 1836 ottiene dal re Carlo Alberto la legittimazione del figlio, dopo una lunga pratica legale. In questi anni terrà numerosi concerti a Nizza, Marsiglia, Torino e Genova. Ma dopo  un  viaggio a Parigi, le sue condizioni di salute peggiorano nonostante delle cure omeopatiche. Dopo aver trascorso un breve periodo  a Genova, si recherà a Marsiglia, dove le sue condizioni di salute si aggraveranno ulteriormente.

Il famoso detto "Paganini non ripete" ha origine origine nel febbraio del 1818 al Teatro Carignano di Torino, quando il re Carlo Felice di Savoia, dopo aver assistito ad un suo concerto fa in modo che gli arrivi la preghiera di ripetere un brano.Ma ato che Paganini durante i concerti amava improvvisare molto e  metteva il massimo dell'energia azioni , arrivando addirittura a procurarsi lesioni ai polpastrelli; in quell'occasione  fece arrivare la sua risposta "Paganini non ripete". Per questa risposta viene conseguentemente revocato a Paganini il permesso di eseguire un terzo concerto in programma.

Niccolò Paganini diventa afono per l'aggravarsi della sua malattia, la tisi laringea di origine sifilitica e morirà il 27 maggio 1840.


MLince Grassi

Le Onne -Bugheisha, donne Samurai

È una cosa poco risaputa, ma esisteva il corrispettivo femminile allo storico guerriero giapponese, ed erano: le onna-bugeisha. Erano donne che appartenevano alla nobiltà giapponese istruite dai gruppi di Samurai che allenavano le proprie figlie nelle arti del combattimento, perchè potessero occuparsi della difesa della loro casa e dell’onore nei periodi durante i quali gli uomini erano assenti a causa della guerra. La Storia parla raramente di queste eroine.

Una di queste  poi conosciuta come Jingū (c. 169-269 dC), utilizzò le sue abilità per ispirare il cambiamento economico e sociale e divenne una leggenda. E'conosciuta come la onna -bugheisha che guidò l'invasione della Corea nel 200 d.C, dopo che il marito Chūai, imperatore della quattordicesima casta del Giappone, venne ucciso in battaglia.

Queste guerriere sapevano maneggiare le spade e combattevano senza tirarsi indietro di fronte alla lotta durante il periodo feudale, ed erano membri della classe bushi cioè quella dei combattenti.


In contrasto con la katana utilizzata universalmente dalla loro controparte maschile : il samurai, l'arma più popolare delle Onna-bugeishas erano le naginata,  una versatile arma ad asta convenzionale con una lama ricurva in punta.

Non si hanno molte notizie su  queste donne-guerriere giapponesi, ma nella tradizione vi sono altri nomi di alcune di loro, come Tomoe Gozen, Nakano Takeko, Hojo Masako . Vi sono anche storie leggendarie che purtroppo non contengono elementi che le possano  comprovare.
Di Tomoe Gozen, per esempio, si dice essere vissuta nel XII secolo e  distinta durante la Guerra del Genpei, combattuta tra il clan dei Taira e quello dei Minamoto di cui forse lei era servitrice. Tomoe apparteneva a questi ultimi, e durante la Battaglia di Awazu, il 21 febbraio del 1184, si distinse appunto per un atto di grande coraggio correndo verso  le forze avversarie, e lanciandosi contro il  più forte guerriero lo disarcionò e colpendolo con la sua lancia  infine lo  decapitò.

Secondo le cronache oltre che guerriera valorosa ed esperta di arco, era descritta anche come bellissima, con pelle bianca e  lunghi capelli e con tratti affascinanti.  Ma non ci sono conferme a  questi racconti, certo è che Tomoe Gozen e la sua leggenda hanno influito molto nella tradizione, culturale e militare del Giappone.

Nei secoli sono esistite molte donne-samurai e per tradizione. Le armi da loro usate erano perfette per i combattimenti contro i guerrieri uomini, che non potevano avvantaggiarsi così della loro predominanza fisica.

MLince Grassi












Una storia d'amore in un libro di Mary Pace

Addio, Monti.
"Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendio, come branchi di pecore pascenti; addio!"
Solo il Manzoni, mentre narra le vicissitudini dei suoi promessi sposi, può ben rappresentare il mio odierno stato d'animo.
Il magnifico verde dei Monti Lepini, con i suoi faggi, ha accompagnato ed allietato tutta la mia esistenza. In più di una occasione, volgendo il mio sguardo proprio lì, ho tratto ispirazione per i miei libri.
Ed oggi, dove si estendeva tutto quel sublime verde, sui Monti Lepini, una zona in cui, peraltro, era già stato realizzato impunemente un parcheggio, sono in costruzione dei boxes.
Tali autorimesse per veicoli sono di proprietà dell'Amministrazione Comunale, che vende al miglior offerente.
Lo splendido paesaggio, che ha sempre caratterizzato tale montagna, è sempre più orrendamente deturpato.
Durante tutta la mia vita, ogni volta in cui mi sia affacciata dalla mia finestra, ho avuto il piacere di gustare una invidiabile e salutare vista panoramica. Ora, purtroppo, mi sembra di vedere una fila di celle per carcerati.
Uno spettacolo a dir poco ripugnante! Giusto per usare un eufemismo...
Ma era proprio necessario edificarli in quello specifico luogo?
Siamo veramente sicuri che non esistesse una diversa e di certo più adeguata ubicazione per la costruzione dei suddetti boxes?
O forse, come io credo, l'Amministrazione Comunale Sgurgolana, e per essa il Sig. Sindaco Corsi, preferisce esaudire ogni minima, futile istanza avanzata dalla cittadinanza? E, soprattutto, in prossimità delle elezioni per il rinnovo di Consiglio e Giunta Comunale.
E i cittadini? Sono per caso claudicanti? Non sono in grado di camminare per 100 o 200 metri? Essi sono così arroganti da pretendere il box adiacente alla propria abitazione, sebbene tale soluzione comporti l'abbattimento degli alberi?
Che delusione! Che incazzatura! La pratica del disboscamento è aspramente condannata dall'attuale società, in quanto nociva nei confronti dell'ecosistema circostante e, soprattutto, per l'uomo. In pieno terzo millennio, tale fatto è assolutamente cristallino ed incontrovertibile.
Laddove scarseggi, gli abitanti si affannano, giustamente, per ricreare nuove zone di "verde" ed impiantare alberi. Coloro che già risiedano in zone boschive, tengono ben stretto e tutelato tale privilegio.
E noi sgurgolani? Famosi per i nostri verdi e rigogliosi monti, per i nostri faggi, abbiamo il coraggio di tirarci la zappa sui piedi! Un comportamento da folli scellerati!
Ma i diretti responsabili hanno nomi e cognomi! E le mie doglianze sono più che motivate e legittime!
Addio, cari faggi. Addio, Monti Lepini

Un libro di Mary Pace ispirato ad una storia vera
MLince Grassi



sabato 11 febbraio 2017

Intervista a casa di Mary Pace

Sono stata invitata a casa di Mary Pace che durante il lungo tempo della nostra conoscenza e del costante contatto che abbiamo avuto, è diventata  un'amicizia solida con un rapporto di  stima e di totale fiducia reciproca.
Oltre al piacere di vederci c'era anche la necessità di sapere da lei quale fosse stato il vero motivo della sua decisione di estromettersi dal Social di Facebook attraverso il quale lei manteneva i contatti coi suoi numerosi fans e colleghi. A tale proposito le ho posto alcune domande alle quali lei non si è negata, anzi ne ha tratto l'occasione per auto dichiararsi pubblicamente.

Io -   Come mai Mary hai preso questa decisione in modo così fermo e convinto? Lo avevi detto molte volte ma questa sembra sia definitiva.

Mary -  Il motivo è che non volevo più vedere ogni mattina una persona che ritengo mi abbia tradita e che fu il mio più grande amico. Una persona che mi fu accanto durante il lungo e faticoso periodo della mia malattia e anche in quello successivo nella quale avevo riposto una grande parte della mia fiducia.

Io - Quale ritieni possa essere il motivo della sua pugnalata alle tue spalle?

Mary - Presumo che sia stato causato da un ricatto mercenario da parte del Ministero nei suoi confronti, cosa che io avvertii già nel Gennaio 2016 , mese in cui io feci pervenire i miei computer al giudice dietro a sua precisa richiesta, in quanto voleva dimostrare che io avevo dato notizie molto importanti alla Central Intelligence Agency con cui stavo comunicando da molto tempo proprio attraverso i miei dispositivi informatici e in merito alle coordinate sul covo di Bin Laden al fine di giustificare la mia richiesta della taglia prevista per chi avesse fornito tali informazioni.

Io - Qual'è il tuo stato d'animo nei confronti di questa situazione che si è creata e di questa persona che hai così tanto ritenuta amica rimanendone poi delusa?

Mary sorridendo - Il mio Generale, Giovanni De Lorenzo, capo  del SIFAR e dell'Arma di Carabinieri, mi ha sempre detto di imparare a non fidarmi mai di nessuno al cento per cento e di mantenere il mio aplomb anche nel caso ci fosse stata una bomba sotto la sua poltrona. Questo insegnamento mi rimase così impresso nella mente da diventare il mio habitus mentale.  Ricordando queste cose Mary ha cambiato espressione e guardandomi ha detto sottovoce e con visibile rimpianto : che bei tempi! . Poi ripresasi dal momento di comprensibile nostalgia e ritornando col  tipico tono di un carattere volitivo ha proseguito dicendo : Quindi non mi sono mai abbandonata totalmente ad una fiducia cieca, ma diciamo che nonostante questo fatto non mi ha uccisa moralmente , però mi ha fatto molto male! Ho sofferto molto e tutt'ora sto soffrendo in quanto mi ero illusa che fosse un'amicizia indissolubile. Questo episodio però mi ha resa consapevole che tutto ha una fine. Ma questa fine confesso che è  estremamente dolorosa.

Io - Avrà conseguenze questa tua forte delusione Mary? Hai parlato di un riscatto personale, come pensi di attuarlo se pensi di farlo?

Mary - Probabilmente la persona in oggetto si è accorta che io sono al corrente di tutto, ma al momento io non ho premeditato una reazione  né ho ancora stabilito una modalità. Mi riservo però di agire in modo lucido e non emotivo come sarebbe se lo facessi in questo momento. Non appena io mi sarò ripresa da questa delusione prenderò una decisione e agirò in modo da essere sicura di centrare il mio obiettivo in modo da avere l'effetto che io stessa deciderò di ottenere da questa reazione. Una cosa è certa, non resterò impassibile.

Io - Se questa persona ti chiedesse perdono tu cosa faresti? Lo perdoneresti?

Mary - NO! Perché so che chi tradisce una volta lo farà ancora e perché sono convinta che sia insito nell'animo italiano il difetto di tradire.

A questo punto io e Mary abbiamo iniziato altre piacevoli conversazioni su molti altri argomenti che l'hanno distolta da questo pensiero così triste per lei ma che ha affrontato con una forza di carattere tipica di una Guerriera.

Non mi resta altro che concludere questa amichevole intervista dicendo  : Mary, Ti voglio bene! Sei un capitolo della storia dell'Intelligence che non deve essere messo da parte, sei memoria storica di fatti e tecniche che non possono essere dimenticate, o perlomeno io non lo farò!


MLince Grassi










giovedì 9 febbraio 2017

da un articolo di Mary Pace : Geddafi sangue italiano

LA SIRTE è rappresentata, fin dall’antichità classica, da due insenature della costa settentrionale dell’Africa, bagnate dal Mar Mediterraneo. La più occidentale è detta Piccola Sirte, ovvero Golfo di Gabès. La Grande Sirte, ossia Golfo di Sidra, ha invece uno sviluppo costiero di 760 km, compreso tra Misurata e Bengasi, dove sorge l’omonima città libica di Sirte. Bagnato da scarsissime piogge, si tratta di un paesaggio alquanto desolato, perfino deprimente. Stepposo nella fascia costiera, desertico in quella interna, privo di piante. Eppure, una zona così avvilente, nella primavera del 1942, diede i natali ad un grandissimo condottiero, il quale, distinguendosi per levatura ed eccelse virtù, scrisse in modo indelebile la Storia della propria Patria, e non soltanto, dedicando l’intera esistenza al suo amato Popolo. Uno di quei classici eroi, i quali sacrificano le proprie vite per un alto ideale, adoperandosi unicamente per aiutare il prossimo, in modo assolutamente disinteressato, senza pretendere alcunché in cambio. Mi riferisco al «Colonnello di Ferro», il Rais Muammar Gheddafi, Capo Rivoluzionario della Jamahiriya araba libica («Stato delle masse»), nelle cui vene scorreva un puro e nobile sangue: quello italiano! I più stenteranno a crederci. Ma, alla luce di approfondite e minuziose indagini, è possibile asserire, con incontrovertibile certezza, che Gheddafi fosse un nostro fratello italiano.
Siamo in piena Seconda Guerra Mondiale. In data 12 febbraio 1941, al comando del Deutsches Afrika Korps, giungeva a Tripoli il Generale Erwin Rommel. Nella zona della Sirte, era acquartierato un manipolo di nostri militari, in attesa di ricevere ordini dal Comando. A parte le ordinarie pattuglie in ricognizione, quei soldati non avevano compiti specifici da assolvere. Il Colonnello, a capo di quel distaccamento, aveva incaricato alcune donne arabe, del luogo, di svolgere varie incombenze, tra cui la quotidiana preparazione del rancio e la pulizia del campo medesimo. Tra di esse, ne spiccava una in modo particolare, per la sua notevole bellezza. Il Colonnello ebbe una relazione con tale donna, da cui nacque un bambino. La mia preziosa fonte informativa, che faceva parte di qual drappello militare, mi confidò di avere tenuto più volte, tra le proprie braccia, tale bambino. Nel novembre 1942, dopo la Seconda Battaglia di El Alamein, Rommel ordinò il ripiegamento delle Forze dell’Asse. Poco prima, il Colonnello italiano del distaccamento nella Sirte, preconizzando una imminente sconfitta definitiva delle truppe italo-tedesche, riuscì ad ottenere una breve licenza, durante la quale, a bordo di un velivolo da egli stesso pilotato, si recò a Venezia, sua terra natia. L’Ufficiale italiano portò con sé il figlio e, una volta giunto in Laguna, lo fece battezzare. Quindi, entrambi ritornarono sùbito presso il distaccamento nella Sirte. In seguito all’ordine di ritirata, impartito da Rommel, anche quel manipolo di soldati italiani abbandonò la propria postazione. Il Colonnello, dopo avere lasciato il figlio alla madre, perse la vita nei successivi scontri bellici. Quel bambino era Muammar Gheddafi!
I Servizi italiani hanno sempre saputo che Gheddafi fosse italiano. Infatti, essi lo hanno protetto e salvato, ogniqualvolta egli si fosse trovato in serio pericolo di vita. Come non ricordare le numerose tempestive informative della nostra Intelligence, indirizzate a Tripoli! Il Direttore del SID, Gen. Vito Miceli, fu informato che, a Trieste, fosse pronta a salpare una nave carica di armi e mercenari, la quale sarebbe dovuta sbarcare in Libia, con l’obiettivo di attuare un golpe filomonarchico e di destituire Gheddafi con la forza. Miceli, invece, dispose una efficace contromossa, inviando a Trieste i propri uomini (tra cui la sottoscritta), i quali sabotarono i motori della nave. L’aereo Dakota C 47, nome in codice Argo 16, in dotazione al SIOS (in seguito abbattuto sopra Mestre dal Mossad), si recò diverse volte in Libia, per condurre i nostri uomini dell’Intelligence, affinché essi potessero garantire appoggio e tutela a Gheddafi. Perfino Licio Gelli, a bordo di Argo 16, atterrò a Tripoli. Egli aveva sempre offerto aiuto e protezione al Rais. Degna di nota anche la richiesta avanzata all’epoca dal capo dello spionaggio francese, Alexander de Marenches, al Gen. Santovito, Direttore del SISMI, perché lo sostenesse nel realizzare un progetto di colpo di Stato in danno di Gheddafi, preparato dal Comandante della Guarnigione di Derna. Invece, evitando di dare corso alla predetta proposta, Santovito informò immediatamente il Colonnello, il quale riuscì a sventare il golpe. Nel 1986, il Rais fu ancora aiutato, per iniziativa diretta dell’allora Presidente del Consiglio Craxi.
Gheddafi è stato un personaggio eccezionale. Fu un uomo coraggioso e leale. Giustamente, oggi egli è ritenuto un eroe, paragonato addirittura a Maometto ed Allah. Da bambino, egli era solito dormire nei Minareti, al fine di frequentare la scuola. Dopo una settimana, ritornava a piedi nella Sirte. Aveva studiato nelle Accademie Militari e, ideologicamente, si ispirava a Gamal Abdel Nasser. Quando nel 1969 diresse il colpo di Stato, tramite il quale assunse il potere, Gheddafi aveva soltanto 27 anni. Durante il golpe non fu versata una sola goccia di sangue. Pertanto, se ne deducono una eccelsa preparazione militare ed un’alta competenza strategica. Il Rais promise al popolo libico che avrebbe portato l’acqua nel deserto e che lo avrebbe altresì irrigato, rendendolo fertile. Tutti impegni che, effettivamente, egli seppe mantenere. Nel 1975, il Colonnello pubblicò il Libro Verde, in cui espose il suo pensiero politico, una sorta di «terza via» alternativa tra comunismo e liberalismo capitalista. Per oltre quarant’anni è stato Guida della Rivoluzione, Capo della Jamahiriya araba libica. Nel corso di quel lungo periodo, egli ha sempre amato il suo Paese ed il suo popolo, così come quest’ultimo ha amato lui. Il Colonnello si è sempre prodigato per difendere ed arricchire la Patria, promuovendo un diffuso benessere collettivo, di cui tutti i libici hanno beneficiato, vivendo in ottimali condizioni. Egli è stato un vero «rivoluzionario», nel senso più propositivo, costruttivo e benefico possibile. Con Gheddafi, il Paese fu gravato dal debito pubblico più basso al mondo. Le politiche del Rais permisero alla popolazione di avere un reddito medio più che dignitoso. Egli aveva istituito un efficiente «Stato sociale», in grado di erogare un’ampia gamma di servizi, i quali soddisfacevano ogni sorta di esigenza dei cittadini. Egli diede tutto al suo amato Popolo: case di proprietà, soldi, lavoro, ospedali, scuole! Imponenti furono le infrastrutture pubbliche realizzate, tra cui spicca il famoso acquedotto Man made River. La banca statale libica ha gestito un’attività finanziaria non «occidentale» (basata sulla ricerca speculativa del profitto mediante il mero prestito del denaro), bensì «islamica», in ossequio ai precetti contenuti ne Il Corano, relativi alla ferma condanna dell’usura. Innovativa fu anche la politica estera attuata da Gheddafi, come la costituzione dell’Unione Africana, istituita ufficialmente nel 2002, ma fondata con la Dichiarazione di Sirte del 9 settembre 1999. Il sottosuolo era ricchissimo, grazie alla presenza del petrolio da esportazione. Il Rais aveva progettato perfino di adottare una moneta unica, ossia il Dinaro d’oro, che potesse sostituire il dollaro statunitense, come alternativa, nelle transazioni delle Nazioni appartenenti al Continente nero. Gheddafi non era un uomo violento. Egli non scatenò mai alcuna guerra, né chiamò il suo popolo sotto le armi. Durante una sua famosa intervista, condotta da Enzo Biagi, il Rais parlava con calma e si esprimeva con una palese flemma, mostrando un viso pacifico. Ciò costituiva la perfetta manifestazione esteriore del suo mansueto carattere. Egli aveva timore del terrorismo, soprattutto quello creato, gestito ed incanalato dalle note potenze occidentali. Certo, Gheddafi tentò di armarsi, ma soltanto a fini difensivi! Durante il suo operato quale Guida della Libia, il Colonnello predispose una dura ed efficace repressione della rete jihadista, le cui varie milizie terroristiche, legate al Gruppo Islamico Combattente Libico, nonché ad al-Qaeda, furono costrette alla clandestinità.
In data 30 agosto 2010, fu concluso il profittevole Trattato di amicizia e cooperazione tra Italia e Libia. Negli anni precedenti, infatti, il nostro Paese era stato vittima di una invasione indiscriminata di clandestini. In forza del predetto trattato, Gheddafi si era fattivamente impegnato nell’evitare la partenza dalle proprie coste di qualunque imbarcazione, la quale, con a bordo immigrati di ogni risma, volesse salpare per l’Italia. Il Rais, uomo d’onore, abituato a mantenere fede ai patti prestati, aveva infatti dato ordine alle proprie Forze Armate e di Polizia di sparare giustamente a vista, proprio con l’intento di arginare tale destabilizzante fenomeno immigratorio. Grazie a tale decisa politica di sicurezza, la nostra Patria ha beneficiato di una indubbia tranquillità. Quando lo accolse esultante a Roma, il Presidente del Consiglio Berlusconi, perfettamente a conoscenza del fatto che fosse italiano, si spinse fino a baciare le mani di Gheddafi, in Via dei Fori Imperiali, quasi fosse, quello, un gesto di lealtà. Eppure, il «cavaliere», un vile traditore, già sapeva che, di lì a pochi mesi, avrebbe concorso alla criminale e terroristica uccisione del Colonnello, il quale fu barbaramente eliminato, con inumana ferocia, nel peggiore dei modi. L’ignobile tradimento, tanto spregevole quanto infido, rappresenta una congenita caratteristica ed una esteriorizzazione del dna degli «occidentali» (tra cui spicca in modo assoluto quel viscido traditore di Berlusconi), i quali sono sempre pronti a pugnalare alle spalle i loro fratelli, soltanto per mettere in salvo le proprie misere vite, nonché per brama di potere ed avidità di pecunia. Durante l’aggressione alla Libia, Berlusconi inviò due caccia Tornado IDS, Interdiction/Strike, in forza al 6° Stormo di Ghedi, Brescia, Aeronautica Militare. Tali velivoli avrebbero dovuto condurre «missioni di attacco al suolo per la neutralizzazione di obiettivi militari, assegnati dal Comando Alleato». Consapevole della propria ignobile condotta, il «cavaliere» diramò un ordine riservato, affinché i due Tornado svolgessero tutte le missioni «in incognito», senza i classici segni distintivi di riconoscimento. Quando, tuttavia, la notizia filtrò in certi ambienti militari, per Berlusconi si palesò il concreto rischio che tali fatti diventassero di dominio pubblico. Pertanto, i quattro Ufficiali che presero parte alle operazioni belliche contro la Libia (i Capitani Alessandro Dotto, Paolo Piero Franzese, Giuseppe Palminteri, Mariangela Valentini) furono scientemente eliminati. Non dovevano parlare! Che abominevole vergogna, tutta italiana! Gli Usa, che reputavano il Rais quale acerrimo nemico, avevano «magistralmente» condotto criminali operazioni psicologiche, determinando il classico «lavaggio del cervello» a tutti i Paesi occidentali, che, peraltro, già si trovavano sotto il giogo statunitense. Washington muoveva sapientemente i propri tentacoli in modo occulto, originando indebite ingerenze nella legittima sovranità di Stati terzi. La Casa Bianca ha potuto contare anche sull’indispensabile appoggio di organizzazioni internazionali e di potenti lobbies finanziarie, le quali, mediante continue azioni di mistificazione e di disinformazione, hanno saputo abilmente indottrinare le masse, nonché dirigere l’opinione pubblica. Gli Usa affermavano con mendace spudoratezza che Gheddafi fosse un pericoloso terrorista e che, pertanto, fosse da abbattere. Come ovvia conseguenza, il Colonnello finì per essere letteralmente odiato da tutto il mondo occidentale. In data 7 ottobre 1985, un commando di quattro uomini prese con le armi il controllo della nave Achille Lauro, la quale si trovava al largo delle coste egiziane. A bordo si trovavano oltre 400 persone, che, di fatto, furono sequestrate. Unica vittima di quell’azione fu l’ebreo Leon Klinghoffer, cittadino statunitense, il quale fu ucciso. Il 9 ottobre 1985, si arrivò alla liberazione degli ostaggi. Tali fatti costituirono la premessa per la «crisi di Sigonella». Tale operazione terroristica fu imputata, sebbene falsamente, a Gheddafi. Anche la strage di Fiumicino, occorsa il 27 dicembre 1985, in cui furono uccise 13 persone, fu mendacemente addebitata al Colonnello. In data 21 dicembre 1988, si verificò un altro funesto attentato, a causa del quale il volo Pan Am 103 esplose e si schiantò sulla cittadina scozzese di Lockerbie, provocando la morte di 270 persone. I colpevoli della strage erano iraniani. Infatti, Teheran avanzò formali scuse a Washington. Tuttavia, gli Usa stabilirono che, a vantaggio della propria politica di aggressione, fosse più utile attribuire la responsabilità dell’attentato a Gheddafi, il quale era completamente estraneo all’intero luttuoso episodio. Ma tanto bastava, perché il Consiglio di Sicurezza Onu decidesse di varare un embargo contro la Libia. In seguito, il Rais risarcì i parenti delle vittime, tuttavia non per una presunta ed asserita ammissione di responsabilità. Egli maturò tale decisione soltanto per un semplice obiettivo strategico, ossia la revoca dell’anzidetta sanzione dell’embargo. Comunque, gli Usa giunsero ad affermare che ogni sorta di attentato portasse la firma del Rais! Pura vergognosa mistificazione! Il Colonnello fu marchiato in modo indelebile da Washington, che ne compromise per sempre l’onorabilità! Ormai, Gheddafi era diventato il «mostro», la personificazione di Lucifero! Non serviva nemmeno più documentarsi, leggendo i quotidiani: ogni attentato era sfrontatamente ascritto al Rais! L’apogeo della criminale e spregevole infamia fu raggiunta con la Primavera araba, i cui terroristici moti rivoluzionari di piazza iniziarono ufficialmente il 26 gennaio 2011, sebbene, già da tempo, squadre non convenzionali della Nato avessero preparato il relativo campo, attuando operazioni clandestine di false flag. Gli scontri armati si propagarono anche dalle città di Bengasi e Misurata. Le criminali potenze occidentali che presero parte a questa terroristica campagna di aggressione, affamate di sangue e potere, miravano esclusivamente ad impossessarsi degli smisurati giacimenti del sottosuolo libico, soprattutto petrolio, nonché delle immense riserve monetarie ed auree. A tale proposito, degna di menzione risulta la conferenza stampa rilasciata dal Presidente venezuelano, Hugo Chàvez, in data 8 ottobre 2012, giorno seguente alla sua rielezione. Chàvez aveva asserito che le «crisi» di Libia e Siria, in verità, fossero operazioni «pianificate e provocate dall’esterno», nel vergognoso alveo della nuova èra imperialistica occidentale (soprattutto statunitense), attuata tramite bombardamenti ed azioni destabilizzanti, contro la legittima sovranità ed indipendenza dei Popoli, nonché delle loro Patrie. Chàvez affermò che le riserve internazionali del popolo libico ammontassero alla impressionante somma di 200 miliardi di dollari. In seguito alla delittuosa aggressione della «Santa Alleanza Atlantica», le terroristiche Nazioni occupanti «rubarono» letteralmente l’intero importo delle predette riserve, adducendo, come infondata giustificazione, che si trattasse del patrimonio personale del Rais. Niente di più turpe e falso! Comunque, quello non fu il vero «tesoro» di Gheddafi. O meglio, ne rappresentò una minima parte. Il Rais possedeva trilioni di dollari! Tra le cause sottostanti al criminale attacco della Nato figurava altresì la difesa valutaria del dollaro, «minacciato» dalle politiche monetarie del Colonnello.
Tra i gravi «oltraggi» al diritto internazionale, è annoverata anche l’illegale condotta dell’Onu, che ha violato l’art. 2 della propria «Carta», manifestando una illecita ingerenza negli affari interni della Libia, nonché autorizzando l’uso della forza, tramite delega di tutte le operazioni belliche alla Nato (Risoluzione n. 1.973/2011, Consiglio di Sicurezza Onu). Usa, Francia, Inghilterra e gli altri Paesi della Coalizione furono autorizzati a compiere vere e proprie atrocità, conducendo le operazioni Odissey Dawn ed Unified Protector. Con l’illegittima e vergognosa imposizione di una no fly zone alla Tripolitania, sebbene la popolazione libica ivi presente sostenesse apertamente il Rais, la Nato si rese responsabile, dopo numerose incursioni aeree, del terroristico eccidio di migliaia di civili innocenti. I colpevoli di tali efferati crimini di guerra hanno ben precisi nomi. Essi sono i terroristi Nicolas Sarkozy, Hillary Clinton e Barack Obama! Addirittura, in data 19 marzo 2011, mentre fosse ancora in corso il vertice di Parigi, indetto dal Presidente Francese, proprio al fine di discutere della suddetta Risoluzione Onu, adottata due giorni prima, il medesimo Sarkozy, sponsorizzato dalla Total, diede ordine di iniziare i terroristici bombardamenti sulla Libia, sebbene la Nato non avesse ancora diramato l’ordine ufficiale di attacco! Sarkozy, poco tempo prima, ebbe addirittura il «coraggio» di domandare al Rais, con perfetta ipocrisia e senza ritegno, la corresponsione di ben 50 milioni di dollari, che gli servivano per la sua campagna elettorale. Ma Sarkozy già sapeva che non avrebbe mai restituito quella somma, poiché egli aveva già condannato a morte il Colonnello! Sporchi ed infami traditori! Il Rais fu vigliaccamente ucciso il 20 ottobre 2011 ed il suo corpo fu esposto, per alcuni giorni, in una moschea di Misurata. I suoi carnefici non avevano ancora pienamente soddisfatto i propri biechi istinti animaleschi. Le sue spoglie furono sepolte in una località segreta del deserto. Il Capo della Jamahiriya era temuto anche da morto. Il sicario di Gheddafi è stato Chris Stevens, Capocentro Cia, ma, ufficialmente, «Ambasciatore» Usa in Libia. Le milizie terroristiche libiche furono armate e sostenute dagli statunitensi. Tuttavia, di questi ultimi, i guerriglieri jihadisti non si fidavano affatto, proprio a causa del tradimento perpetrato da Washington a Gheddafi, temendo di essere destinati alla medesima ignobile fine. Pertanto, in data 11 settembre 2012, il Consolato Usa di Bengasi fu preso d’assalto dai suddetti insorti jihadisti, i quali uccisero proprio Chris Stevens, insieme a tre suoi collaboratori. Come dimenticare, invece, le perfide ed allucinanti risate della criminale Clinton, nel commentare l’omicidio del Colonnello! Soltanto una pazza posseduta, che incarna alla perfezione il «male assoluto», può arrivare a così tanta odiosa empietà!
«Dopo di me, il caos»: queste le profetiche parole del Rais, pronunciate nel 2011. Non ci sarà più un altro «Colonnello di Ferro». Ma lo Spirito di Gheddafi vivrà comunque in eterno.

(dal prossimo numero de "il Borghese" n. 2 - Febbraio 2017) tratto dal libro di Mary Pace

MLince Grassi










martedì 24 gennaio 2017

NO A QUALUNQUE TIPO DI VIOLENZA PSICOLOGICA SULLE DONNE SOPRATTUTTO A QUELLA CHE NON SI VEDE!


NO ALLA VIOLENZA SULLE DONNE

Una donna su tre nella sua vita subisce violenza di vari tipi : Sessuale, domestica, psicologica, stalking. Sono dati esagerati? No, sono i dati di un’indagine Europea del 2014 che ha mostrato come a livello di Stati Membri 1 donna su 3 ha subito qualche violenza sessuale e/o fisica almeno una volta nella vita a partire dall’età di 15 anni.
Sono numeri che fanno riflettere e anche tanto. Spesso le donne hanno paura e continuano a subire in silenzio per la presenza di un legame emotivo con il partner, per il timore delle conseguenze o di stigmatizzatizzazione da parte degli altri, o ancora, che la sua denuncia non venga presa sul serio e che nessuno possa aiutarla come purtroppo a volte succede (!!)
Ma tutto questo è sbagliato. E' il concetto che sta alla base di questo pensiero ad esserlo anzitutto.
La violenza può avere effetti devastanti sulla vittima e le conseguenze non sono solo di tipo psicologico ma anche di tipo fisico legate alla salute oppure di tipo economico per le ripercussioni sulla attività lavorativa. Le conseguenze negative della violenza coinvolgono tutti i membri di una famiglia, soprattutto i figli anche se sono testimoni .

Per difendersi le donne devono condividere il problema con chi sta loro accanto: amici, parenti, colleghi e rivolgersi alla polizia sperando di trovare chi ascolti, alle associazioni contro la violenza o ad un avvocato.



ANCHE A QUELLA PSICOLOGICA E' UN TIPO DI VIOLENZA !

ESEMPI DI VIOLENZA PSICOLOGICA

Rientrano tra le fattispecie di violenza psicologica:

Insulti in privato e/o in pubblico
Minacce verso la persona o i suoi cari (figli, famigliari, partner, amici, colleghi, animali domestici, altro…)
Urla indirizzate contro la persona o i suoi cari (figli, famigliari, partner, amici, colleghi, animali domestici, altro…)
Ricatti materiali o morali
Comportamenti dispregiativi e denigratori sistematici (parole sprezzanti ed offensive umiliazioni, ridicolizzazioni, rimproveri, critiche avvilenti, continui confronti con altre donne o precedenti partner)
Controllo sulle azioni (controllo degli orari, delle spese, delle relazioni, delle scelte), sulle parole (correzione continua), sui pensieri
Isolamento fisico e/o relazionale (esclusione dai contatti amicali e famigliari, esclusione dalla comunità di appartenenza)
Ostacoli a perseguire propri obiettivi e desideri (a che la persona prosegua o si cerchi un lavoro verso il quale si sente portata; a che abbia un figlio oppure decida di non averlo; a iniziare, proseguire o riprendere gli studi…)
Limitazione della libertà personale nei movimenti e spostamenti (obbligo di uscire di casa solo in certi orari, obbligo di non uscire sola, ..)
Tradimenti, inganni, menzogne che negano la realtà;
Gelosia patologica (dubbi costanti sulla fedeltà della donna; impedimento a o rimprovero per l’incontro con uomini al lavoro, per strada, in famiglia, tra amici)
Imposizione di un determinato abbigliamento
Imposizione di determinati comportamenti in pubblici e/o in privato
Controllo maniacale della gestione della vita quotidiana
Indifferenza alle richieste affettive
Chiusura comunicativa persistente
Rifiuto sistematico di svolgere lavoro domestico e/o educativo
Sottrazione/danneggiamento volontario di oggetti o animali suoi o dei suoi cari
Rifiuto di lasciare la casa coniugale
Imposizione della bigamia-poligamia
Sottrazione del passaporto, del permesso di soggiorno o di altri documenti necessari
Obbligo/minaccia di tornare al paese d’origine
Matrimonio precoce o forzato
Minaccia di suicidio o autolesionismo da parte del partner
Obbligo firma di dimissioni in bianco


La Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa, sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica  - è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro diverse forma di violenza. È particolarmente rilevante perché riconosce la violenza contro le donne quale violazione dei diritti umani, oltre che come forma di discriminazione contro le donne (art. 3 dellaConvenzione). La Convenzione stabilisce un chiaro legame tra l’obiettivo della parità tra i sessi e quello dell’eliminazione della violenza nei confronti delle donne.

Questa Convenzione ha 81 articoli ed è stata adottata dal Consiglio d'Europa l'11 maggio 2011
è entrata in vigore negli Stati del Consiglio d’Europa che l’anno ratificata - tra cui l'Italia - il 1° agosto 2014 essa riconosce un ruolo fondamentale alla società civile per eliminare la violenza.

I fondamenti promossi dalla convenzione sono : la prevenzione, la protezione delle vittime, la punizione dei maltrattanti. La convenzione ha un meccanismo di monitoraggio degli Stati per verificare che applichino gli obblighi contenuti e ratificati. L’organo di monitoraggio è il GREVIO (gruppo di eseperti ed esperte sulla violenza ).

-------------------- Video GREVIO  ------------------







domenica 22 gennaio 2017

Il Carrozzone va avanti da se, ma chi si divertirà?






Mi è stato chiesto di scrivere un articolo sull'opporunità o meno della messa in onda del Festival di Sanremo in un momento critico come quello in cui sta versando l'Italia. CI ho dovuto pensare un po' per molti motivi ma poi me ne è stata spiegata l'importanza e dunque mi sono decisa a farlo.

E' fin troppo facile criticare l’”evento Festival di San Remo”, dal punto di vista dei contenuti della società dello spettacolo. Ci troviamo di fronte a una specie di macchina quale è l’industria dell’intrattenimento, che ha ormai una sua forza propria autoriproduttiva sotto il profilo economico - sociale attraverso la costruzione di tanti “microeventi”, come appunto quello del Festival ma questo è un discorso che può anche estendersi ad altri settori come quello del cinema, dell’editoria, e così via. Quindi non c'è nessuna novità nella modernità capitalistica. Questo ingranaggio si riproduce perché gode del crescente consenso sociale.

Il vero nucleo del problema è l' assuefazione psichica e culturale crescente delle masse ormai mediatizzate che consentono a questa macchina di riprodursi nei vari strati sociali. Nessuno è obbligato ad accendere la televisione e formalmente siamo liberi , ma di fatto la maggior parte della popolazione  la accende e durante i giorni del Festival in molti seguono la kermesse.

I motivi per cui la gente accende l'apparecchio televisivo anche per seguire il Festival sono due :

1) perchè nelle nostre società "apparentemente democratiche", il controllo dei valori culturali ricevuti e trasmessi è sotto stretta sorveglianza attraverso una forma di controllo subliminale compiuta dalle stesse organizzazioni mediatiche, sviluppatesi fin dalla seconda metà del secolo scorso. Da quel momento in poi una progressiva povertà di contenuti culturali autentici anche perchè è risaputo che i media dipendono dal potere economico, il quale potere economico è rimandato a quello politico che a sua volta, rimanda a quello economico. Si tratta di un processo circolare che culturalmente privilegia la conservazione dello status quo ,cioè dei rapporti politici ed economici in atto. In sostanza possono cambiare gli attori politici ed economici, ma non la struttura politico- economica e sociale, e i valori sui cui essa poggia e che vuole trasmettere. Questi valori però sono “autentici” per il sistema, ma non sempre lo sono per ogni singolo individuo o per tutti i gruppi sociali.

2) Il secondo motivo è la povertà di autentici valori culturali dovuta anche alla conformazione sociale dei media che dovendo parlare a tutte le fasce sociali, devono banalizzare i contenuti, implicando con questo, lo sviluppo di un nucleo molto ristretto di valori di divertimento e innocui sotto il profilo politico e sociale. Si tratta di un processo parzialmente eterodiretto da un lato e dall'altro , frutto di quei meccanismi autoriproduttivi della macchina dell’industria dello spettacolo. La pressione è stata
talmente forte in passato come lo è tuttora, che i valori ludici sono ormai ritenuti dalle masse mediatizzate, come autentici. E questo risponde alla domanda sul perchè del largo seguito che hanno eventi come il “Festival di San Remo”.


Però come è vero che nelle nostre società il controllo dei valori culturali è strettamente sorvegliato, è vero anche che i processi sociali non si fondono solo nei processi di condizionamento, ma esiste anche il processo di innovazione creativa spesso opera di alcune minoranze, se non proprio di singoli individui mossi da un bisogno di autenticità sociale. Questo processo innovativo, può diffondersi, attraverso gli stessi processi meccanicistici sopra descritti. I quali, sono socialmente neutrali, in quanto possono veicolare sia il bene come il male… Pertanto vanno difese e utilizzate tutte sfere di libertà, anche di dimensioni ridotte, capaci però di favorire l’innovazione politico- sociale in ogni ambito, ma nel rispetto di tutti. Ma questo processo non è facile perché, attualmente, il comportamento meccanicistico prevale su quello innovativo. Ma noi siamo consapevoli che i processi sociali, sono basati anche sull’innovazione evolutiva, e che generalmente le società cambiano per saturazione, specialmente quando valori intrinsecamente forti negli individui vengono messi a dura prova o addirittura schiacciati da altri del tutto opposti.


Per quanto complessa possa essere la definizione di ciò che è arte, è innegabile che, dal punto di vista etico, essa va vista essenzialmente come una forma di comunicazione appartenente al campo dell’espressione, cioè un Linguaggio di quella forma di comunicazione dove il messaggio comunicato è parte della verità della stessa persona che si esprime, e momento significativo della sua interiorità.


Una forma importante di comunicazione sociale, che fonde il gratuito dell’arte con il mercantile della comunicazione di massa, è lo spettacolo che rappresenta anzitutto uno specchio dove nei suoi spettacoli ogni popolo rappresenta se stesso, la sua storia passata, la sua vita attuale con le sue tensioni e le sue credenze, le paure e le speranze nei confronti del futuro. Solo nelle società più evolute e contrassegnate da un forte pluralismo ideologico e indifferentismo religioso, diventano possibili forme di spettacolo concepite e attualizzate al di fuori di ogni consapevole volontà di socializzazione e di educazione morale e civica: è lo spettacolo di pura evasione. Ma la ‘pura evasione’ di cui parliamo è un prodotto della società del benessere e della crescita della domanda dei consumi . In una società dove tutto diventa oggetto di scambio, anche lo spettacolo diventa una merce, dotata di un valore di scambio misurata sulla base della domanda di mercato. Ma alcune rappresentazioni che incitano alla violenza e alla disobbedienza rinunciano ad ogni funzione educativa , non solo, ma anche ad ogni vera pretesa artistica .


Proprio in riferimento a queste responsabilità formative e sociali si impone il bisogno di una deontologia della professione dello spettacolo. Per chi veramente crede in una superiore verità dell’uomo e in un senso della vita, lo spettacolo è sollecitato a crearsi una forma di educazione morale e al contempo, ha la responsabilità di non tradire la fiducia del pubblico e gli interessi veri dell’uomo attraverso una comunicazione non autentica e distruttiva di umanità.Una responsabilità che pesa particolarmente su chi crede nella dignità dell’uomo e nei valori che lo realizzano: è una responsabilità che pone in essere il dovere morale di una certa autocensura, che deve avere come oggetto non solo gli aspetti negativi della realtà umana, quanto ciò che, nel suo essere comunicato, risulterebbe distruttivo di umanità nei confronti dei destinatari .
Ovviamente esiste anche il diritto-dovere della comunità a difendersi da queste forme distruttive di spettacolo con le forme più idonee di controllo sociale , la cosiddetta Censura.
Per quanto perciò una società possa essere democratica e pluralista, in ognuna esiste un minimo comune denominatore di convinzioni, di valori, di norme etiche che godono del consenso praticamente unanime dei suoi membri e che sono ad esempio i valori definiti dalle varie ‘dichiarazioni dei diritti universali dell’uomo’, i principi fondamentali delle diverse ‘costituzioni’ e alcuni di quegli elementi dell’eredità morale del cristianesimo nel quale molti individui si riconoscono.
La società è chiamata a "difendere" questa linea base di valori così come a difendere il bene comune. Se non lo facesse sarebbe condannata alla disgregazione.


La domanda che in molti ci stiamo facendo, credo la maggior parte di noi, è se sia opportuno, in questo momento di grave calamità meteorologica ed economica, di mandare in onda il carrozzone del Festival di San Remo dove il conduttore prende una cifra spropositata per il ruolo che svolge sottraendo così il denaro versato dalla popolazione sotto forma del canone , che potrebbe essere invece destinato alle popolazioni colpite dal cataclisma e mentre la nostra Nazione è in ginocchio sotto ogni punto di vista : da quello economico a quello sociale e morale e dove da un lato vengono chiesti i soldi attraverso dei fasulli SMS che non sono mai arrivati ai destinatari , e dall'altra ci sono nella realtà persone che a mani nude e concretamente cercano di salvare vite umane sepolte sotto l'enorme strato di neve o sotto le macerie del terremoto . Persone a cui vergognosamente sono anche stati tolti dei soldi dai loro stipendi ma nonostante ciò proseguono le estenuanti ricerche perchè per loro ciò che conta è la vita umana. Lo stanziamento di di 30 milioni di euro per aiutare 30 mila persone è ridicola perchè risulta la cifra di mille euro a persona.
Mi auguro almeno che visto che saranno in pochi a divertirsi in quei 10 giorni, che tutto sia  molto sobrio e senza la provocazione di quel finto cantante con la moquette gialla sulla sua zucca vuota.


Mi domando se l'Anchor man del Festival ha il coraggio di guardarsi dentro e se sente la sua coscienza pulita nell'accettare tutto sorridente e felice ( lo credo ) quella cifra sapendo che alcuni suoi connazionali sono vivi per miracolo mentre "Uomini veri" stanno lavorando per permettere loro di vivere proprio mentre lui farà battute di dubbio gusto comme d'habitude pensando di far ridere qualcuno.


MLince Grassi




venerdì 20 gennaio 2017

La macchina della Burocrazia



Il paesaggio sociale odierno è dominato da grandi e impersonali associazioni che influenzano la nostra vita sin dal momento della nostra nascita. Alcune di esse sono volontarie in quanto le persone possono scegliere liberamente se aderirvi o meno, altre invece sono obbligatorie poichè le persone in questo caso non hanno libera scelta, sono costrette a farne parte. Altre sono di tipo utilitario ,nel senso che le persone entrano a farne parte per motivi pratici. Ma qualunque sia il tipo di organizzazione di cui facciamo parte e qualunque siano le ragioni della nostra appartenenza ad esse il fatto certo è che trascorriamo una consistente parte della nostra esistenza in questi gruppi impersonali e grandi.

Senza organizzazioni "ben dirette" i nostri standard di vita e il nostro modo di vivere non reggerebbero. Per questo la razionalità anizzativa e la serenità umana fino ad un certo punto vanno di pari passo, il problema però è che siamo arrivati ad un punto in cui serenità ed efficienza cessano di sostenersi vicendevolmente. Da questo momento in poi inizia il grande dilemma.

Quanto più grande e complicata diventa un'organizzazione formale, tanto più grande insorge il bisogno di creare una catena di comando che coordini le attività dei suoi membri e in teoria, questo bisogno dovrebbe essere soddisfatto dalla cosiddetta Burocrazia, cioè una struttura di attività gerarchica che opera in base a regole e procedure ben precise.




Generalmente il termine "burocrazia" ha connotazioni negative in ogni idioma perchè ci evoca immagini di moduli in duplice o triplice copia, di pratiche smarrite o di certificati sbagliati, di impiegati allo sportello accecati da regolamenti assurdi , di risposte evasive che tendono allo scaricabarile e sotto il profilo dell'individuo il termine "burocrazia" spesso è sinonimo di inefficienza.

Questa macchina dovrebbe essere il più efficace dei mezzi escogitati dall'uomo per poter produrre una grande quantità di lavoro organizzato e si è sviluppata perchè la maggior parte degli scopi per cui è nata è efficiente.




Per stabilire qual'è la struttura formale di una burocrazia , bisogna dare uno sguardo alla sua mappa organizzativa che ci mostra le linee di autorità lungo le quali le varie comunicazioni passano da un uffico all'altro in linea generale in forma scritta. Ma nella pratica nessuna burocrazia funzion alla lettera le disposizioni di un manuale. Il motivo è che le persone si conoscono in quanto tali e non solamente come funzionari o impiegati e stabiliscono fra loro dei rapporti primari piegando a loro piacimento o infrangendo delle regole sviluppando così procedure informali per trattare i problemi e quando possono , passano attraverso la gerarchia seguendo delle scorciatoie ( su questo argomento ci sono ricerche effettuate tra il 1927 e il 1932 che non sto a spiegare ) e comunque anche ricerche più recenti confermano che la struttura formale della burocrazia genera sempre rapporti e pratiche informali.

Dal momento che le informazioni viaggiano in modo lento attraverso i canali ufficiali e che determinate decisioni prese a livello dirigenziale vengono intenzionalmente tenute nascoste ai subordinati, si sviluppa così un canale informale di informazioni. Alcuni individui che secondo la mappa organizzativa dovrebbero essere sclusi da certe informazioni, di fatto ne vengono a conoscenza.




In realtà la struttura formale dell'organizzazione può offrire soltanto uno schema generale in cui le persone svolgono spesso i loro ruoli burocratici in modi estremamente personali. In pratica sono gli individui che creano l'organizzazione, essi sono l'organizzazione. Per questo motivo alcuni sociologi mettono in rilievo che la burocrazia è una realtà negoziata.

Seguire il tortuoso percorso dei canali ufficiali è molto irritante ed è per questo che i membri di una burocrazia imparano presto a cortocircuitare il processo attraverso contatti informali con funzionari amici in qualunque posizione gerarchica si vengano a trovare.

Il fatto che la burocrazia sia idealmente efficiente per via delle regole progettate per risolvere casi e problemi tipici, purtroppo non significa che sia attrezzata per trattare casi insoliti. Quando si presenta un caso che non ha precedenti e non è previsto dalle regole, la burocrazia si inceppa e il caso problematico rischia di circolare da un tavolo all'altro a volte anche per degli anni prima che finalmente arrivi a qualcuno di autorevole che abbia la voglia di prendere decisioni a riguardo.




La cieca osservanza delle regole e delle procedure può dare luogo ad un fenomeno che Thor Veblen definì in modo caustico "incapacità coltivata" e cioè incapacità di trovare risposte nuove e ricche di immaginazione. Questo è l'eterno problema davanti al quale si trovano le organizzazioni : trovare il modo di bilanciare il bisogno di stabilità e di prevedibilità con il fondamentale requisito di rispondere efficacemente ai continui cambiamenti dell'ambiente sociale e/o addirittura prevenirlo. Nei casi di calamità naturali ad esempio, basterebbe che i vertici si tenessero continuamente in contatto con gli scienziati dei vari campi scientifici per poter prevedere e quindi pensare a come fronteggiare vari ed eventuali rischi tenendo ben presente che in mezzo a questi ci finisce molta parte della popolazione.
Anche il sistema formale delle comunicazioni interne alla burocrazia presenta delle disfunzioni poichè in teoria, queste fluiscono dall'alto verso il basso e viceversa attraverso appositi canali subendo distorsioni al livello intermedio durante questo processo .




La caratteristica evidente che caratterizzala vita contemporanea è che essa è dominata da grandi organizzazioni complesse e formali e che la nostra capacità di organizzare migliaia e anche milioni di uomini per raggiungere obiettivi di larga scala (economici, politici, militari ) non è aggiornata al passo coi tempi e l'esempio èquello della attuale calamità  appena occorsa . Tutto questo è accaduto per l'ignoranza dei vertici di questa macchina burocratica! Per fortuna esistono uomini di buona volontà!!


MLince Grassi






martedì 17 gennaio 2017

Ci ha lasciati l'undicesimo uomo che camminò sul suolo lunare, il Comandante Gene Cernan



Gene Cernan, un astronauta della NASA  fu l'ultimo uomo a mettere piede sulla Luna, è morto Lunedi, la NASA lo ha annunciato con un tweet. Aveva 82 anni.

I dettagli della sua morte  non sono stati resi noti.

Cernan fu il comandante dell' Apollo 17 nel dicembre del 1972 - l'ultima missione lunare e uno dei voli finali di Apollo. Quando Cernan uscì dal modulo lunare "Challenger" è diventato l' 11 °persona a camminare sulla luna. Dopo di lui il pilota Jack Schmitt. Il Comandante, Cernan fu l'ultimo a rientrare nel modulo lunare, designandolo come l'ultima persona a camminare sulla superficie lunare.

Le sue parole non sono diventate famose come la prima frase di Neil Armstrong parlando dalla luna, però, l'addio finale di Cernan alla luna era altrettanto poetico.

"... La Sfida dell'America di oggi, ha forgiato il destino dell'uomo del domani", disse Cernan. "E come si lascia la Luna a Taurus Littrow ( una valle lunare servita come luogo di atterraggio ) , la lasciamo come siamo venuti e, se Dio vorrà,   torneremo, in pace e  speranza per tutta l'umanità. Buona fortuna  all'equipaggio dell' Apollo 17."

Nel documentario 2007 "L'ombra della Luna," Cernan ha parlato dell'Epifania che ha vissuto mentre era in piedi sulla desolata ma maestosa supeficie lunare.

"Deve esserci Qualcuno piu grande di te e di me, c'è troppa logica, è troppo bella per accadere per caso", ha detto Cernan. "Ci deve essere qualcuno più grande di te e più grande di me ... e lo dico in senso spirituale, non in senso religioso, ci deve essere un Creatore dell'Universo che sta al di sopra delle religioni che noi stessi creiamo per governare le nostre vite. "

Cernan aveva precedentemente servito come il pilota modulo lunare su Apollo 10 ed era un pilota sulla missione Gemini IX.

Sul volo dell'Apollo 10, Cernan e il comandante Tom Stafford hanno volato  su otto miglia della superficie lunare. La missione di maggio  servì come "prova generale" per la storica missione Apollo 11 , dei  due mesi successivi.

Cernan fu il secondo americano a camminare nello spazio della missione Gemini IX nel 1966.

Cernan ha registrato 566 ore e 15 minuti nello spazio, di cui 73 ore sono state spese sulla superficie della luna, secondo la NASA.

Nato a Chicago nel 1934, Cernan ha ricevuto una laurea in Ingegneria Elettrica a Purdue e un Master in Scienza areonautica e  Ingegneria aeronautica nella US Naval Postgraduate School. Fu un capitano della Marina, e fu selezionato nel terzo gruppo di astronauti della NASA nel 1963.

Si ritirò dalla NASA e dalla Marina nel 1976.

La morte di Cernan lascia sei astronauti  che hanno camminato sulla luna.


Cieli Blu Comandante!
MLince Grassi


La Battaglia di SOMME 1916 – Il grande macello




Il primo giorno della battaglia della Somme fu (e rimane a tutt’oggi) il giorno più sanguinoso nella storia dei conflitti del Regno Unito.
L’attacco iniziato alle 7.30 di quel mattino costò infatti ben 20.000 morti e 40.000 feriti. Gli elenchi delle perdite riempirono pagine e pagine dei quotidiani. Per di più, a causa del particolare sistema di reclutamento per gruppi omogenei (il cosiddetto «Pal system») con il quale erano stati formati molti dei reggimenti mandati all’assalto, alcuni quartieri e distretti del nord industriale persero una parte molto rilevante della popolazione maschile in età attiva.
 Ma le ripercussioni furono molto più ampie. La Somme fu una ferita devastante per l’intera Inghilterra e si fece sentire in ogni angolo del Paese, a tutti i livelli della società. 
Nella battaglia rimasero uccisi ragazzi dei quartieri più poveri dell’East End di Londra, ma anche il figlio del primo ministro, Raymond Asquith, ufficiale delle Grenadier Guards.
 Lo scopo dell’attacco era quello di sfondare la linea delle trincee tedesche nei pressi del centro del fronte occidentale, per ottenere una netta vittoria sulle forze che avevano invaso la Francia. 
La battaglia aveva inoltre lo scopo di scoraggiare i tedeschi dalla prosecuzione della grande offensiva scatenata contro i francesi a Verdun, allora in pieno svolgimento. L’offensiva della Somme era una tra le diverse offensive che gli alleati avevano concordato di sferrare il dicembre precedente. Infatti, durante la battaglia della Somme, i russi attaccarono in Ucraina (la famosa offensiva di Brusilov) e gli italiani scatenarono l’ennesimo assalto sulla linea del fiume Isonzo. I francesi, tenacemente aggrappati alle difese di Verdun, furono comunque in grado di inviare truppe sufficienti a prendere parte all’offensiva sulla Somme. Il loro contributo fu un attacco a sud del settore britannico, vicino a Peronne, proprio dove le linee tenute dai due eserciti alleati si univano. 
Nel 1916 il Regno Unito aveva ormai schierato un milione di uomini in Francia estendendo progressivamente la lunghezza del fronte coperto dalle proprie unità. Questo incremento della forza dell’esercito fu reso possibile durante il 1915 dall’invio in Francia dei battaglioni territoriali, poi dalla formazione di nuove divisioni di volontari o «divisioni di Kitchener», così definite dal nome del ministro della guerra britannico che ne aveva fortemente caldeggiato la costituzione.
 Ai primi di settembre del 1914 Lord Kitchener si era infatti rivolto alla popolazione chiedendo volontari in scaglioni di 100.000 uomini.
 Nel 1916 i primi cinque di questi scaglioni formarono circa 30 divisioni, che andarono a unirsi alle 10 di regolari e alle 14 dei territoriali. Determinato a raccogliere senza indugio le truppe per il suo «New Army», Lord Kitchener promise che i gruppi di volontari  raccolti da una sede di reclutamento sarebbero stati assegnati allo stesso reparto. Il risultato furono quelli che vennero rapidamente definiti dalla stampa come «pal battalion» (battaglioni di amici), spesso formati da uomini di una stessa fabbrica o impresa che decidevano di offrirsi volontari in massa. Per fare un esempio, i quattro battaglioni di Liverpool provenivano principalmente dal personale degli uffici delle grandi compagnie di navigazione transatlantiche, mentre i quattro battaglioni di Manchester provenivano dagli impiegati delle aziende tessili. Altri battaglioni di questo tipo vennero formati dagli abitanti di specifiche cittadine. Il battaglione Accrington Pals, per esempio, formava l’Undicesimo East Lancs; Leeds fu la base di reclutamento del Quindicesimo West Yorkshire e Hull quella del Dodicesimo East Yorkshire (gli Hull Sportsmen).
 La Trentunesima divisione era composta esclusivamente di «battaglioni di amici», quattro dei quali provenienti da Hull. Il principio del reclutamento di volontari in comunità ristrette produsse anche il Glasgow Tramways Battalion (il battaglione dei tranvieri di Glasgow) e il Gateshead Commercials, formato dai commessi dei negozi della città scozzese. Il Decimo Lincolns era anche detto Grimsby Chums (i ragazzi di Grimsby). In effetti, ci furono battaglioni di questo tipo reclutati anche a Londra e nel sudest, ma questo tipo di reclutamento fu un fenomeno particolarmente diffuso soprattutto nelle città industriali del nord. 
Questi battaglioni erano solitamente interamente composti da soldati reclutati nei ceti più bassi della società inglese e quindi non avevano propri ufficiali. Questo portò alla costituzione di reparti che vedevano la stravagante unione di falangi di operai del nord e ufficiali comandanti provenienti dalle più prestigiose scuole private del sud. Peraltro, proprio il comando esercitato nei battaglioni del New Army contribuì a definire il clima sociale del Regno Unito negli anni successivi al conflitto. Molti di quegli ufficiali furono infatti così turbati dalle condizioni di vita testimoniate dai propri soldati provenienti dalla classe operaia da decidere di impegnarsi a favore di importanti riforme politiche e sociali.
 I volontari voluti da Kitchener vennero in stragrande maggioranza assegnati a reparti di fanteria, ma l’esercito che attendeva di attaccare sulla Somme il primo luglio del 1916 disponeva anche di una forza di artiglieria davvero imponente. A questa forza era stato assegnato l’ambizioso compito di assicurare il successo dell’offensiva distruggendo le trincee tedesche e i loro occupanti. Una settimana prima dell’inizio dell’offensiva vera e propria venne avviato un bombardamento incessante delle linee nemiche. L’artiglieria scagliò un milione di granate ad alto potenziale sulle linee tedesche. Il bombardamento fu così prolungato e i suoi effetti apparenti furono così sbalorditivi da convincere gli ufficiali a informare i propri reparti, in perfetta buona fede, che l’attraversamento della terra di nessuno sarebbe avvenuto senza incontrare nessuna resistenza dalle linee tedesche.
 La realtà era però ben diversa. Il bombardamento aveva in effetti prodotto danni enormi, ma largamente superficiali. I tedeschi avevano avuto a disposizione un anno intero per preparare le proprie difese e avevano scavato rifugi di enormi dimensioni a grande profondità nel sottosuolo calcareo della Somme. Ben protetti da questi rifugi, attesero pazientemente la fine del bombardamento preliminare. Inoltre, il bombardamento fallì anche nel secondo compito cruciale che gli era stato assegnato, ovvero la distruzione delle distese di filo spinato poste a protezione delle trincee tedesche. Per di più, l’artiglieria britannica non riuscì neppure a ridurre al silenzio la sua controparte tedesca.
 I cannoni tedeschi ancora attivi aprirono il fuoco con risultati devastanti non appena la fanteria britannica iniziò ad attraversare la terra di nessuno. Alle 7.20 del mattino del primo luglio, il lungo bombardamento preliminare terminò, avvisando la fanteria in attesa dell’imminenza dell’ora zero. Alle 7.25, la fanteria lasciò le proprie trincee e uscì allo scoperto nella terra di nessuno. Alle 7.30, al suono dei fischietti degli ufficiali, la fanteria iniziò ad avanzare, oppressa dal peso del proprio equipaggiamento. Molti portavano con sé 30 kg di munizioni, razioni alimentari, utensili per il trinceramento e bobine di filo spinato. Non appena i tedeschi videro che le linee di attacco inglesi erano in movimento, si affrettarono a raggiungere i parapetti delle trincee e ad installare in tutta fretta le mitragliatrici.
 Nei primi minuti, la fanteria britannica che avanzava in lunghe file compatte venne falciata senza pietà dal fuoco nemico. Qua e là, dove il filo spinato era stato abbattuto e le trincee spazzate via, i britannici riuscirono a penetrare nelle linee tedesche e a catturare posizioni e prigionieri. In particolare, si registrarono grossi successi al centro del campo di battaglia, ovvero a nord di Thiepval, proprio dove oggi si trova l’arco del monumento ai caduti di Lutyens.
 L’avanzata si esaurì solo perché gli uomini che dovevano effettuarla erano morti o così sgomenti dalle perdite subite da non poter avanzare oltre. Alcuni battaglioni avevano semplicemente cessato di esistere. Entro mezzogiorno l’avanzata si era ormai arrestata quasi ovunque, anche se lo sforzo offensivo si mantenne elevato per l’intera giornata. L’alto comando, che aveva perso contatto con le prime ondate della fanteria non appena queste avevano lasciato le loro trincee, non aveva alcuna idea di quello che era accaduto. 
Il generale Douglas Haig, comandante della forza di spedizione britannica, era ancora persuaso di poter continuare l’offensiva il giorno seguente. Nessuno all’alto comando aveva la minima idea delle perdite, dato che il numero dei feriti era così elevato che superava la possibilità dei servizi medici di trasportarli nelle retrovie. 
All’epoca, erano necessari quattro uomini per ogni barella e il viaggio verso la più vicina postazione di pronto soccorso poteva durare diverse ore. Oggi si comincia a considerare che tra i 20.000 morti del primo di luglio molti siano in realtà feriti che spirarono prima di poter essere soccorsi. Gli orrori del primo di luglio misero fine a ogni reale possibilità di vittoria della grande offensiva britannica. Solo nella parte meridionale del campo di battaglia, nel settore dei più esperti francesi, si erano ottenuti reali risultati. Il generale Haig era comunque determinato a proseguire le operazioni e durante il resto di luglio e agosto gettò truppe fresche sul campo di battaglia per tentare di sfondare la tenace resistenza dei tedeschi.
 Nelle truppe fresche erano inclusi reparti australiani e canadesi. Si registrò una modesta avanzata ma la cosiddetta «fase di attrito» della battaglia non fu ben coordinata. A metà di settembre, tuttavia, si produsse uno sforzo più mirato che riuscì a conquistare parte delle alture che dominavano il lato orientale del campo di battaglia. Questo rinnovato sforzo offensivo britannico fu coadiuvato dall’esordio assoluto di una nuova arma: il carro armato. 
Questi primi modelli di tank erano piuttosto fragili e tendevano a guastarsi sin troppo spesso, ma nelle occasioni in cui si riuscì a conservarne l’efficienza gettarono lo scompiglio tra i difensori tedeschi e consentirono alla fanteria britannica di catturare intere sezioni delle trincee nemiche con perdite comparativamente lievi.
 Haig non ammise la fine della battaglia della Somme sino alla metà di novembre. Per quella data, i britannici avevano ottenuto una penetrazione di circa 11 chilometri. Questa modesta avanzata era però costata loro circa 420.000 perdite fra morti, feriti e dispersi; i francesi avevano subito perdite per più di 200.000 uomini.
 È comunque un errore concludere che la battaglia della Somme sia stata del tutto inutile. I tedeschi persero mezzo milione di uomini e i loro comandanti hanno sempre dichiarato che le perdite subite nella battaglia della Somme produssero danni irreparabili nella macchina militare tedesca. La Somme fu la fine del vecchio esercito tedesco prebellico che da quel momento in poi perse definitivamente ogni residuo vantaggio qualitativo.
 Oggi il panorama della Somme non porta più alcun segno degli scontri che lo sconvolsero novanta anni fa. I boschi spazzati via dai bombardamenti ora sono nuovamente rigogliosi e le linee delle trincee sono coperte da un lussureggiante manto erboso.
 La regione ha interamente recuperato la sua straordinaria bellezza paesaggistica e la produttività dei suoi campi. Il solo segno esteriore della battaglia, oltre alle dozzine di camposanti, è il fatto che nessun edificio della zona è precedente al 1920.

Fonte Storia in rete

MLince Grassi






lunedì 16 gennaio 2017

La battaglia contro l'Isis parte dalla Brianza: Foffano a capo di un gruppo nazionale di lavoro



BIASSONO - Grande esperto di intelligence e di terrorismo internazionale, ora è stato chiamato a un importante incarico. Il vimercatese Andrea Foffano, è ora responsabile del coordinamento nazionale del gruppo di lavoro sulla sicurezza del “Movimento Energie PER l’Italia” guidato da Stefano Parisi


La sicurezza è il suo pane quotidiano: Isis, terrorismo, intelligence, ma anche la giurisprudenza italiana e internazionale che si occupa dell’argomento, oltre ad esperienze personali nei maggiori corpi del settore.


E oggi mette le sue conoscenze e competenze a servizio dell’Italia nella certezza che, con la passione e la professionalità del suo team, riuscirà a fornire un contributo importante per la sicurezza del Belpaese.


Un incarico prestigioso quello che da un mese ha assunto Andrea Foffano, vimercatese, 33 anni, segretario della sezione biassonese di Forza Italia, paracadutista e autore del saggio “L’Isis”.


A dicembre è diventato responsabile del coordinamento nazionale del gruppo di lavoro sulla sicurezza messo in piedi dal “Movimento Energie PER l’Italia” che, guidato da Stefano Parisi, accoglie esponenti di tutto il centro destra accomunati da un'unica ideologia liberale.


Un grande hub dove confluiscono, non tanto forze politiche, quanto invece professionalità diverse con l’obiettivo di sviluppare proposte e programmi su grandi argomenti di interesse nazionale e internazionale, dalla politica estera alla giustizia, dallo sport alla cultura.


Al brianzolo è stato affidato il coordinamento del delicatissimo gruppo sulla sicurezza. “Con il supporto di accademici e di professionisti di fama internazionale stiamo redigendo un grande libro bianco sul tema della sicurezza – spiega – Idee e proposte da sottoporre poi al governo”.


All’ordine del giorno, naturalmente, il tema del terrorismo. “L’allerta in questo momento è massima – continua Foffano – Il fatto che il killer di Berlino sia stato ucciso alle porte di casa nostra ci deve far riflettere : la cosiddetta "cintura milanese" e altre zone simili del Paese sono oggi terreno fertile per il transito dei terroristi e per l'attivita di queste cellule. Bisogna lavorare soprattutto sulla prevenzione, sull'intelligence e la raccolta delle informazioni, in strettissima collaborazione con le forze dell’ordine, con l’obiettivo di scoprire e smantellare queste reti”.


Per Andrea Foffano un ruolo importante lo giocano i singoli cittadini, sentinelle di quello che potrebbe essere un possibile pericolo. “Senza scatenare il panico o fomentare inutili allarmismi – precisa – bisogna creare quella sorta “intelligence collettiva”, quella rete civica in grado segnalare alle forze dell’ordine qualsiasi anomalia, anche quella che il semplice Cittadino può ritrovarsi accanto a casa propria: dalla valigia abbandonata davanti a luoghi affollati, sino ad arrivare al conoscente che improvvisamente cambia radicalmente modo di vivere, manifestando tutto il proprio disprezzo per la società che lo circonda. La radicalizzazione di una persona è un processo che può essere fermato, se preso in tempo”.


Ma la sicurezza non è solo quella contro i terroristi di matrice islamica. “Ci stiamo occupando anche di sicurezza economica – continua - della repressione dei reati finanziari che hanno messo in ginocchio il nostro Paese, delle possibili modalità di intervento e di prevenzione”.

Grande attenzione anche alla sicurezza in tema di politica estera. “Stiamo lavorando anche con alcuni gruppi accademici nazionali e internazionali per individuare formule e idee per bloccare la tratta dei migranti nel Mediterraneo – continua – Fornendo un aiuto concreto che li aiuti a migliorare l'economia del loro Paese. E in Italia ribadiamo l’applicazione delle leggi per la gestione degli immigrati irregolari e pericolosi per il bene di tutta la comunità”.

Tutto questo sarà possibile solo se ci sarà la partecipazione e l’impegno di tutti. “E soprattutto la valorizzazione delle forze dell’ordine – ribadisce – Implementando anche l’utilizzo delle nuove tecnologie che sono fondamentali anche per i nostri carabinieri e poliziotti”.
Foffano non si tira indietro. È stato uno dei pochi a raccontare i retroscena politici ed economici che ci sono dietro il movimento dell’Isis, conosce bene l'intelligence e la sicurezza, ma anche la paura di tanti italiani.

E dopo aver pubblicato sul suo profilo facebook l’immagine delle vittime della strage di Capodanno a Istanbul ricorda, non solo ai suoi follower, che non si deve avere paura di guardare foto come queste perché, come ricorda il ricorda il fotografo americano Kenneth Jarecke, se abbiamo il coraggio di fare una guerra, dovremmo avere il coraggio di guardare anche le foto che la ritraggono.


Fonte B.Api.

MLince Grassi




domenica 15 gennaio 2017

Un terzo dei siti naturali UNESCO è in pericolo



Un terzo dei siti naturali UNESCO è in pericolo



Dal parco nazionale di Virunga in Congo, dove resistono i gorilla di montagna, a quello del Lago Malawi, fra bacini lacustri più belli al mondo, sino ad arrivare  alla riserva Selous in Tanzania, tra i più grandi parchi faunistici esistenti ecco alcuni tra i siti naturali patrimonio dell’umanità attualmente minacciati dalla presenza umana.

In totale si tratta del 31% dei siti naturali Unesco, di barriere coralline, parchi nazionali e riserve: ognuno a suo modo, costretto a fare i conti con la ricerca di petrolio, gas e minerali.  Il WWF attraverso un rapporto che evidenzia come il dato risulti sono sempre più in crescita ha lanciato l'allarme.

I siti naturali considerati Patrimonio dell’umanità coprono meno dell’1% della superficie del nostro Pianeta, eppure hanno un valore inestimabile per la conservazione delle specie e per la ricchezza dei loro paesaggi. La protezione di queste aree è fondamentale non solo per gli aspetti economici in quanto garantiscono il turismo, posti di lavoro, promozione e diffusione della cultura spesso, a fronte di contesti di grande povertà – ma anche per far in modo che alcuni tra gli animali più rari del Pianeta non scompaiano per sempre: non soltanto i gorilla di montagna, ma anche i cetacei, le tartarughe marine, gli elefanti africani o i leopardi delle nevi sempre più vulnerabili negli altopiani e nelle vallate dell’Asia centrale


Il problema interessa in particolar modo le aree localizzate in Asia  e in America Latina e caraibica   mentre in Europa e  nel Nord America sono minacciati  il 10% dei siti: tra questi il parco nazionale del Coto Donana nell’estuario del fiume Guadalquivir nella Spagna meridionale, una delle più importanti zone umide del Vecchio Continente a motivo della biodiversità che ospita.

MLince Grassi

Una breve storia dei Granatieri di Sardegna


breve storia dei Granatieri di Sardegna

È il corpo militare più antico d’Italia; discende dal reggimento delle guardie armate di granate a mano fondato da Carlo Emanuele II nel 1659. I granatieri veri e propri furono istituiti da Vittorio Amedeo II e sciolti nel 1798. All’atto della costituzione dell’esercito piemontese nel 1815, Vittorio Emanuele I ricostituì il reggimento, che nel 1852 assunse il nome di granatieri di Sardegna.
Successivamente furono costituite la brigata dei granatieri di Lombardia, di Napoli e di Toscana. Nel settembre 1943, la brigata difese Roma contro i Tedeschi a Porta S. Paolo e dopo l’armistizio fu una delle prime unità dell’Esercito Italiano a essere ricostituita.
I Granatieri di Sardegna sono un reparto storicoe glorioso. E' il più antico corpo europeo e prese parte a tutti i conflitti del Piemonte e del Regno d'Italia . Anche nella Grande guerra seppe dare altissima prova dimostrando coraggio e valore : impiegato nei settori più difficili del fronte, in località leggendarie quali Monfalcone, Carso, Oslavia, Monte Cengio, Lenzuolo Bianco, Flambro e alle foci del Piave, a guerra finita marciò su Fiume con Gabriele D'Annunzio”. Venneri definiti dagli austriaci come “i migliori soldati italiani”.
I Granatieri di Sardegna durante la Guerra 1915 – 1918”, ebbero nel corso del conflitto il maggior numero di massime decorazioni al valore, individuali.

La Grande Guerra fu un'importantissima parte della storia della nostra Patria, che tutta unita impegnò le sue forze nella lunga lotta. Poi, quando fu duramente colpita a Caporetto, fu capace di risorgere con una rinnovata energia per raggiungere la decisiva vittoria e portare così le bandiere italiane sino ai suoi confini . Durante quella durissima lotta durata quattro anni , la Brigata Granatieri di Sardegna, coi suoi due eroici reggimenti, scrisse così le più belle e alte pagine della sua storia .
Essa combattè sin dai primi giorni della guerra nelle martoriate alture del Carso, contro le preparate posizioni austriache difese dal fuoco incessante della artiglieria e protette da reticolati”.

Fra le numerose eroiche storie di eroismo di questo glorioso Reparto ne spicca una, che simbolicamente le rappresenta tutte, quella del Granatiere Alfonso Samoggia, decorato con medaglia d'oro al valore militare: Portaordini che “In una cruenta azione , disimpegnava instancabilmente il proprio servizio, sia recando ordini fra le linee più avanzate, sia rifornendo le munizioni sulla linea del fuoco, ed attraversava all'uopo più volte, e da solo, una zona di cresta scoperta e furiosamente battuta dal tiro avversario. In una successiva circostanza, in cui un attacco estremamente violento di soverchianti forze nemiche seminava la morte fra le nostre truppe e inevitabilmente le serrava sempre più da presso, intuendo l'imminente pericolo, di propria iniziativa, sotto il grandinare dei proiettili, correva con impareggiabile serenità a chiedere rinforzi. Deluso nella propria speranza per la totale mancanza di truppe disponibili, nel tornare sopra i suoi passi, cadeva colpito a morte nel momento in cui giungeva presso il proprio ufficiale. Dando allora fulgida prova dei più eletti sentimenti, per infondere a questo nuova fiducia, contrariamente al vero, gli gridava fra gli spasimi: Tenente, i rinforzi arriveranno. Resista fino alla morte”. Questa la motivazione per cui gli venne conferita l'onorificenza .
Il suo ufficiale , il sottotenente Giuseppe Verdecchia e gli altri granatieri così rincuorati, poterono tenere la posizione. Purtroppo invece Samoggia non ce la fece e morì in un ospedale da campo. Fu sepolto al ponte Val di Tora, sul confine. Da allora la sua storia entrò nell'epica dei Granatieri ed in sua memoria venne istituito il distintivo di Granatiere Portaordini.



Marilina Lince Grassi





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