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domenica 19 marzo 2017

Il modo migliore per imparare è divertirsi - Albert Einstein


Nel 1915 Albert Einstein aveva appena portato a compimento otto anni di studi intensi ed estenuanti enunciando in due pagine che sarebbero passate alla storia la sua Teoria della Relatività Generale.

A quell’epoca Einstein aveva 36 anni e viveva a Berlino con la cugina Elsa, che più tardi  diventerà la sua seconda moglie. Einstein aveva già due figli, Hans Albert ed Eduard detto “Tete”,che vivevano a Zurigo con la sua prima moglie Mileva.

Einstein con la prima moglie, Mileva, ebbero una figlia di nome Lieserl, di cui non si sa nulla  si pensa addirittura che non sia sopravvissuta o che sia stata data in adozione. Hans Albert è il secondo, e nel 1915 aveva 11 anni. Il terzo figlio, Eduard, ne aveva 5. Hans Albert divenne ingegnere ed Eduard divenne psichiatra.
Questa è la lettera che Einstein inviò in quei giorni all’11enne Hans Albert. Si tratta di un documento preziosissimo poiché contiene i consigli che una delle più grandi menti della storia umana dà a suo figlio sullo studio e l’apprendimento.



È questo il modo per imparare di più, quando fai una cosa con talmente tanto divertimento che non ti accorgi del tempo che passa. Il segreto dello studio è divertirsi.



Può sembrare quasi banale per la semplicità di questo consiglio, eppure oggi molte teorie pedagogiche si basano proprio sull’idea che l’apprendimento più efficace sia prorpio quello che passa per il divertimento e il gioco. Hans Albert Einstein, il figlio di Einstein, divenne  ingegnere e insegnante, ed ebbe una carriera di successo.

Il segreto della vita sta nelle cose semplici, e piccole, nel piacere stesso della vita, nel saperne godere e nel viverla pienamente che significa anche e soprattutto divertirsi.
Attraverso il divertimento passa una magia che permette a bambini e adulti di crescere, imparare, e diventare  adulti  non  frustrati per le ore passate a studiare cose che non amano, ma che sono felici di aver studiato divertendosi, godendo dell’imparare, e prendendo alla vita ciò che la vita ha da offrire.


Mio caro Albert, 

Ieri ho ricevuto la tua cara lettera e ne sono stato molto felice. Già temevo che non mi avresti scritto mai più. Quando ero a Zurigo mi avevi detto che è strano per te quando vengo lì. Perciò penso che sia meglio se stiamo insieme da qualche altra parte, dove nessuno possa interferire col nostro benessere. In ogni caso farò in modo che ogni anno possiamo passare un intero mese insieme, così che tu veda che hai un padre che ti ama ed è pazzo di te. Da me puoi anche imparare tante cose buone e meravigliose, cose che altri non potrebbero offrirti tanto facilmente. Ciò che ho imparato con tanto duro lavoro non deve servire solo agli estranei, ma soprattutto ai miei ragazzi. Proprio in questi giorni ho completato una delle opere più belle della mia vita e, quando sarai più grande, te ne parlerò.

Mi fa tanto piacere che il pianoforte ti diverta. Insieme alla falegnameria si tratta, secondo me, del miglior passatempo per la tua età, anche meglio della scuola. Perché sono attività che ben si adattano a una persona giovane come te. Al piano, suona soprattutto le cose che ti piacciono, anche se il maestro non te le assegna. E’ questo il modo per imparare di più, quando fai una cosa con talmente tanto divertimento che non ti accorgi del tempo che passa. A volte io stesso sono così coinvolto nel mio lavoro che mi dimentico di pranzare. E gioca ad anelli con Tete, migliorerà la tua agilità. Qualche volta vai anche dal mio amico Zangger, è una cara persona.

Baci a te e a Tete,

Papà.

Salutami la Mamma.














Fonte 3nz.it
MLince Grassi



giovedì 16 marzo 2017

Niccolò Paganini

Niccolò Paganini (Genova, 27 ottobre 1782 – Nizza, 27 maggio 1840) fu un noto musicista e compositore italiano noto anche per i suoi virtuosismi con il violino. Fu inoltre un esponente di spicco della musica romantica.


Proveniente da una famiglia di modeste condizioni, il padre Antonio Paganini,un uomo con la passione per la musica ma che si occupava di imballaggi, la madre Teresa Bocciardo,durante la giovinezza riceve dal padre lezioni di mandolino e chitarra e  lo indirizza anche verso lo studio del violino.

In ambito musicale Niccolò fu un autodidatta, poiché ricevette lezioni da maestri di scarso valore e preparazione,ma continuò gli studi di violino, ricevendo successivamente altre lezioni che gli vennero impartite da Giovanni Costa, maestro della Cappella della Cattedrale di Genova e da Francesco Gnecco, che svolgeva la professione di operista.

Di Paganini esistono pochissime immagini. Egli era di corporatura esile e soffriva d'esaurimenti nervosi,  stati di affaticamento e attacchi di emottisi. Ma la cosa più evidente era la particolarità del suo aspetto fisico: dita ossute, lunghe e affusolate, mani pallide solcate da vene in forte rilievo e con  piedi sproporzionati.
Durante le sue esibizioni Paganini contorceva il corpo e mani in pose bizzarre .

Oggi si sa che Paganini soffriva probabilmente di una rara sindrome chiamata di Marfan che caratterizzava il suo aspetto e dava alle sue mani una forma straordinariamente allungata e affusolata che gli permise di raggiungere dei livelli tecnici ineguagliati e che secondo gli esperti, questa patologia accomunò parecchi illustri personaggi: dal Presidente americano Abram Lincoln a Charles de Gaulle, da Talleyrand-Périgord a Sergei Rachmaninov, il faraone Akhenaton, ma anche Joey Ramone  cantante del gruppo punk-rock Ramones.

Nel 1795, dopo aver partecipato a molti concerti nella Cattedrale di Genova, partì per Parma con l'obiettivo di intraprendere gli studi in compagnia di Alessandro Rolla il quale affida il ragazzo a Ferdinando Paer che peròessendo in partenza per l'Austria, lo consiglia di rivolgersi a Gaspare Ghiretti, il maestro che gli dette lezioni di composizione e di contrappunto.

Nel periodo trascorso a Parma si ammalò di polmonite, per cui fu costretto a fare dei salassi per guarire . In questa circostanza, a causa della cura, si indebolì fisicamente e dovette trascorrere un periodo di convalescenza  nella casa paterna a Romairone doveil padre lo obbligò a studiare per circa dieci o dodici ore al giorno violino.

La creatività di Paganini è enorme sino al punto  di riuscire a riprodurre, col violino, i suoni della natura, il verso degli uccelli e  di altri animali. In questi anni tiene vari concerti in Italia settentrionale e per il suo estro creativo fu accolto con  entusiasmo in Toscana.

Nei sei anni successivi,  suona nella Cattedrale di Lucca in occasione della Festa di Santa Croce diventando uno stimato concertista, e durante quel periodo ebbe il tempo per dedicarsi allo studio più approfondito della chitarra a sei corde e anche all'agricoltura.

Nel 1802 partecipa a vari concerti tenutisi a Livorno ,poi dal 1805 al 1809 fu in servizio a Lucca presso la corte di Elena Baciocchi sorella di Napoleone. Negli anni trascorsi a Lucca dà ripetizioni al marito di Elisa e felice, e si esibirà col violino nei concerti di corte. Grazie a queste esibizioni inizia la sua esperienza come direttore d'orchestra e diresse l'opera: "Il matrimonio segreto di Cimarosa".


Considerando troppo gravosi gli impegni di corte, nei due anni successivi, Niccolò  lascia Lucca per dedicarsi completamente all'attività concertistica e si esibirà soprattutto in Emilia Romagna. Nel 1813 soggiorna a Milano, dove si esibirà presso il Teatro della Scala e presso il Teatro Carcano. L'anno successivo si esibirà anche in vari concerti a Pavia e nel Teatro Carignano di Torino.

Tornato a Genova, conoscerà Angiolina Cavanna con cui intratterrà una relazione amorosa e scapperà con lei a Parma. La giovane rimane incinta, per cui fu costretto a tornare a Genova, dove il padre di lei lo denuncerà per rapimento e  seduzione di minore. In quest'occasione Paganini fu costretto a passare una settimana in carcere.

Nello stesso anno si esibirà a Genova al Teatro S. Agostino. Dopo essersi esibito, negli anni successivi, nel Teatro della Scala di Milano, a Venezia, Trieste, Torino e Piacenza,Nel 1818 soggiornò a Bologna, dove conoscerà Maria Banti, con cui intrattenne una successiva relazione.

Poi terrà concerti a Roma, Napoli e Palermo e intorno al 1820 il suo stato di salute peggiorò e  contrasse la sifilide che curò a Milano, dove si trasferì. Dopo essersi rimesso, conobbe la cantante Antonia Bianchi con la quale convivrà per alcuni anni e dalla quale nel 1825 ebbe un figlio, Achille.

In seguito si esibirà a Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Genova, Milano e Torino finchè nel 1828 partì per Vienna, dove ottenne un enorme successo, al punto che il pubblico gli chiede più volte addirittura la ripetizione del suo concerto. Durante questo periodo però si separò legalmente dalla compagna, ottenendo l'affidamento del figlio.

Nel biennio successivo parteciperà ad una  tournée concertistica in Germania e in Polonia, dove conobbe Chopin, Schumann, Pontini, Clara Wieck e Meyerbeer.  e dove in questo periodo, viene nominato dal re di Prussia "Maestro di Cappella di Corte" e vivrà con il figlio nella città tedesca di Francoforte.
L'anno dopo Paganini partì per Parigi, dove tenne numerosi concerti e durante questo soggiorno l'impresario inglese Laporte gli propose dei concerti in Inghilterra. Fino al 1833 svolgerà la sua attività concertistica sia in Francia che  in Inghilterra. Ma a causa di uno scandalo in cui rimase coinvolto per la sua relazione amorosa segreta con Charlotte Watson, tornò in Italia dove soggiornò a Parma e dove otterrà anche una medaglia d'oro coniata appositamente per lui e nello stesso anno la Marchesa di Parma Maria Luigia gli propose di diventare membro della Commissione artistica del Teatro Ducale. Inoltre assumerà l'importante carica di sovrintendente della Commissione, che però lascerà presto a causa di intrighi contro i suoi progetti.

Nel 1836 ottiene dal re Carlo Alberto la legittimazione del figlio, dopo una lunga pratica legale. In questi anni terrà numerosi concerti a Nizza, Marsiglia, Torino e Genova. Ma dopo  un  viaggio a Parigi, le sue condizioni di salute peggiorano nonostante delle cure omeopatiche. Dopo aver trascorso un breve periodo  a Genova, si recherà a Marsiglia, dove le sue condizioni di salute si aggraveranno ulteriormente.

Il famoso detto "Paganini non ripete" ha origine origine nel febbraio del 1818 al Teatro Carignano di Torino, quando il re Carlo Felice di Savoia, dopo aver assistito ad un suo concerto fa in modo che gli arrivi la preghiera di ripetere un brano.Ma ato che Paganini durante i concerti amava improvvisare molto e  metteva il massimo dell'energia azioni , arrivando addirittura a procurarsi lesioni ai polpastrelli; in quell'occasione  fece arrivare la sua risposta "Paganini non ripete". Per questa risposta viene conseguentemente revocato a Paganini il permesso di eseguire un terzo concerto in programma.

Niccolò Paganini diventa afono per l'aggravarsi della sua malattia, la tisi laringea di origine sifilitica e morirà il 27 maggio 1840.


MLince Grassi

Le Onne -Bugheisha, donne Samurai

È una cosa poco risaputa, ma esisteva il corrispettivo femminile allo storico guerriero giapponese, ed erano: le onna-bugeisha. Erano donne che appartenevano alla nobiltà giapponese istruite dai gruppi di Samurai che allenavano le proprie figlie nelle arti del combattimento, perchè potessero occuparsi della difesa della loro casa e dell’onore nei periodi durante i quali gli uomini erano assenti a causa della guerra. La Storia parla raramente di queste eroine.

Una di queste  poi conosciuta come Jingū (c. 169-269 dC), utilizzò le sue abilità per ispirare il cambiamento economico e sociale e divenne una leggenda. E'conosciuta come la onna -bugheisha che guidò l'invasione della Corea nel 200 d.C, dopo che il marito Chūai, imperatore della quattordicesima casta del Giappone, venne ucciso in battaglia.

Queste guerriere sapevano maneggiare le spade e combattevano senza tirarsi indietro di fronte alla lotta durante il periodo feudale, ed erano membri della classe bushi cioè quella dei combattenti.


In contrasto con la katana utilizzata universalmente dalla loro controparte maschile : il samurai, l'arma più popolare delle Onna-bugeishas erano le naginata,  una versatile arma ad asta convenzionale con una lama ricurva in punta.

Non si hanno molte notizie su  queste donne-guerriere giapponesi, ma nella tradizione vi sono altri nomi di alcune di loro, come Tomoe Gozen, Nakano Takeko, Hojo Masako . Vi sono anche storie leggendarie che purtroppo non contengono elementi che le possano  comprovare.
Di Tomoe Gozen, per esempio, si dice essere vissuta nel XII secolo e  distinta durante la Guerra del Genpei, combattuta tra il clan dei Taira e quello dei Minamoto di cui forse lei era servitrice. Tomoe apparteneva a questi ultimi, e durante la Battaglia di Awazu, il 21 febbraio del 1184, si distinse appunto per un atto di grande coraggio correndo verso  le forze avversarie, e lanciandosi contro il  più forte guerriero lo disarcionò e colpendolo con la sua lancia  infine lo  decapitò.

Secondo le cronache oltre che guerriera valorosa ed esperta di arco, era descritta anche come bellissima, con pelle bianca e  lunghi capelli e con tratti affascinanti.  Ma non ci sono conferme a  questi racconti, certo è che Tomoe Gozen e la sua leggenda hanno influito molto nella tradizione, culturale e militare del Giappone.

Nei secoli sono esistite molte donne-samurai e per tradizione. Le armi da loro usate erano perfette per i combattimenti contro i guerrieri uomini, che non potevano avvantaggiarsi così della loro predominanza fisica.

MLince Grassi












Una storia d'amore in un libro di Mary Pace

Addio, Monti.
"Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendio, come branchi di pecore pascenti; addio!"
Solo il Manzoni, mentre narra le vicissitudini dei suoi promessi sposi, può ben rappresentare il mio odierno stato d'animo.
Il magnifico verde dei Monti Lepini, con i suoi faggi, ha accompagnato ed allietato tutta la mia esistenza. In più di una occasione, volgendo il mio sguardo proprio lì, ho tratto ispirazione per i miei libri.
Ed oggi, dove si estendeva tutto quel sublime verde, sui Monti Lepini, una zona in cui, peraltro, era già stato realizzato impunemente un parcheggio, sono in costruzione dei boxes.
Tali autorimesse per veicoli sono di proprietà dell'Amministrazione Comunale, che vende al miglior offerente.
Lo splendido paesaggio, che ha sempre caratterizzato tale montagna, è sempre più orrendamente deturpato.
Durante tutta la mia vita, ogni volta in cui mi sia affacciata dalla mia finestra, ho avuto il piacere di gustare una invidiabile e salutare vista panoramica. Ora, purtroppo, mi sembra di vedere una fila di celle per carcerati.
Uno spettacolo a dir poco ripugnante! Giusto per usare un eufemismo...
Ma era proprio necessario edificarli in quello specifico luogo?
Siamo veramente sicuri che non esistesse una diversa e di certo più adeguata ubicazione per la costruzione dei suddetti boxes?
O forse, come io credo, l'Amministrazione Comunale Sgurgolana, e per essa il Sig. Sindaco Corsi, preferisce esaudire ogni minima, futile istanza avanzata dalla cittadinanza? E, soprattutto, in prossimità delle elezioni per il rinnovo di Consiglio e Giunta Comunale.
E i cittadini? Sono per caso claudicanti? Non sono in grado di camminare per 100 o 200 metri? Essi sono così arroganti da pretendere il box adiacente alla propria abitazione, sebbene tale soluzione comporti l'abbattimento degli alberi?
Che delusione! Che incazzatura! La pratica del disboscamento è aspramente condannata dall'attuale società, in quanto nociva nei confronti dell'ecosistema circostante e, soprattutto, per l'uomo. In pieno terzo millennio, tale fatto è assolutamente cristallino ed incontrovertibile.
Laddove scarseggi, gli abitanti si affannano, giustamente, per ricreare nuove zone di "verde" ed impiantare alberi. Coloro che già risiedano in zone boschive, tengono ben stretto e tutelato tale privilegio.
E noi sgurgolani? Famosi per i nostri verdi e rigogliosi monti, per i nostri faggi, abbiamo il coraggio di tirarci la zappa sui piedi! Un comportamento da folli scellerati!
Ma i diretti responsabili hanno nomi e cognomi! E le mie doglianze sono più che motivate e legittime!
Addio, cari faggi. Addio, Monti Lepini

Un libro di Mary Pace ispirato ad una storia vera
MLince Grassi



sabato 11 febbraio 2017

Intervista a casa di Mary Pace

Sono stata invitata a casa di Mary Pace che durante il lungo tempo della nostra conoscenza e del costante contatto che abbiamo avuto, è diventata  un'amicizia solida con un rapporto di  stima e di totale fiducia reciproca.
Oltre al piacere di vederci c'era anche la necessità di sapere da lei quale fosse stato il vero motivo della sua decisione di estromettersi dal Social di Facebook attraverso il quale lei manteneva i contatti coi suoi numerosi fans e colleghi. A tale proposito le ho posto alcune domande alle quali lei non si è negata, anzi ne ha tratto l'occasione per auto dichiararsi pubblicamente.

Io -   Come mai Mary hai preso questa decisione in modo così fermo e convinto? Lo avevi detto molte volte ma questa sembra sia definitiva.

Mary -  Il motivo è che non volevo più vedere ogni mattina una persona che ritengo mi abbia tradita e che fu il mio più grande amico. Una persona che mi fu accanto durante il lungo e faticoso periodo della mia malattia e anche in quello successivo nella quale avevo riposto una grande parte della mia fiducia.

Io - Quale ritieni possa essere il motivo della sua pugnalata alle tue spalle?

Mary - Presumo che sia stato causato da un ricatto mercenario da parte del Ministero nei suoi confronti, cosa che io avvertii già nel Gennaio 2016 , mese in cui io feci pervenire i miei computer al giudice dietro a sua precisa richiesta, in quanto voleva dimostrare che io avevo dato notizie molto importanti alla Central Intelligence Agency con cui stavo comunicando da molto tempo proprio attraverso i miei dispositivi informatici e in merito alle coordinate sul covo di Bin Laden al fine di giustificare la mia richiesta della taglia prevista per chi avesse fornito tali informazioni.

Io - Qual'è il tuo stato d'animo nei confronti di questa situazione che si è creata e di questa persona che hai così tanto ritenuta amica rimanendone poi delusa?

Mary sorridendo - Il mio Generale, Giovanni De Lorenzo, capo  del SIFAR e dell'Arma di Carabinieri, mi ha sempre detto di imparare a non fidarmi mai di nessuno al cento per cento e di mantenere il mio aplomb anche nel caso ci fosse stata una bomba sotto la sua poltrona. Questo insegnamento mi rimase così impresso nella mente da diventare il mio habitus mentale.  Ricordando queste cose Mary ha cambiato espressione e guardandomi ha detto sottovoce e con visibile rimpianto : che bei tempi! . Poi ripresasi dal momento di comprensibile nostalgia e ritornando col  tipico tono di un carattere volitivo ha proseguito dicendo : Quindi non mi sono mai abbandonata totalmente ad una fiducia cieca, ma diciamo che nonostante questo fatto non mi ha uccisa moralmente , però mi ha fatto molto male! Ho sofferto molto e tutt'ora sto soffrendo in quanto mi ero illusa che fosse un'amicizia indissolubile. Questo episodio però mi ha resa consapevole che tutto ha una fine. Ma questa fine confesso che è  estremamente dolorosa.

Io - Avrà conseguenze questa tua forte delusione Mary? Hai parlato di un riscatto personale, come pensi di attuarlo se pensi di farlo?

Mary - Probabilmente la persona in oggetto si è accorta che io sono al corrente di tutto, ma al momento io non ho premeditato una reazione  né ho ancora stabilito una modalità. Mi riservo però di agire in modo lucido e non emotivo come sarebbe se lo facessi in questo momento. Non appena io mi sarò ripresa da questa delusione prenderò una decisione e agirò in modo da essere sicura di centrare il mio obiettivo in modo da avere l'effetto che io stessa deciderò di ottenere da questa reazione. Una cosa è certa, non resterò impassibile.

Io - Se questa persona ti chiedesse perdono tu cosa faresti? Lo perdoneresti?

Mary - NO! Perché so che chi tradisce una volta lo farà ancora e perché sono convinta che sia insito nell'animo italiano il difetto di tradire.

A questo punto io e Mary abbiamo iniziato altre piacevoli conversazioni su molti altri argomenti che l'hanno distolta da questo pensiero così triste per lei ma che ha affrontato con una forza di carattere tipica di una Guerriera.

Non mi resta altro che concludere questa amichevole intervista dicendo  : Mary, Ti voglio bene! Sei un capitolo della storia dell'Intelligence che non deve essere messo da parte, sei memoria storica di fatti e tecniche che non possono essere dimenticate, o perlomeno io non lo farò!


MLince Grassi










giovedì 9 febbraio 2017

da un articolo di Mary Pace : Geddafi sangue italiano

LA SIRTE è rappresentata, fin dall’antichità classica, da due insenature della costa settentrionale dell’Africa, bagnate dal Mar Mediterraneo. La più occidentale è detta Piccola Sirte, ovvero Golfo di Gabès. La Grande Sirte, ossia Golfo di Sidra, ha invece uno sviluppo costiero di 760 km, compreso tra Misurata e Bengasi, dove sorge l’omonima città libica di Sirte. Bagnato da scarsissime piogge, si tratta di un paesaggio alquanto desolato, perfino deprimente. Stepposo nella fascia costiera, desertico in quella interna, privo di piante. Eppure, una zona così avvilente, nella primavera del 1942, diede i natali ad un grandissimo condottiero, il quale, distinguendosi per levatura ed eccelse virtù, scrisse in modo indelebile la Storia della propria Patria, e non soltanto, dedicando l’intera esistenza al suo amato Popolo. Uno di quei classici eroi, i quali sacrificano le proprie vite per un alto ideale, adoperandosi unicamente per aiutare il prossimo, in modo assolutamente disinteressato, senza pretendere alcunché in cambio. Mi riferisco al «Colonnello di Ferro», il Rais Muammar Gheddafi, Capo Rivoluzionario della Jamahiriya araba libica («Stato delle masse»), nelle cui vene scorreva un puro e nobile sangue: quello italiano! I più stenteranno a crederci. Ma, alla luce di approfondite e minuziose indagini, è possibile asserire, con incontrovertibile certezza, che Gheddafi fosse un nostro fratello italiano.
Siamo in piena Seconda Guerra Mondiale. In data 12 febbraio 1941, al comando del Deutsches Afrika Korps, giungeva a Tripoli il Generale Erwin Rommel. Nella zona della Sirte, era acquartierato un manipolo di nostri militari, in attesa di ricevere ordini dal Comando. A parte le ordinarie pattuglie in ricognizione, quei soldati non avevano compiti specifici da assolvere. Il Colonnello, a capo di quel distaccamento, aveva incaricato alcune donne arabe, del luogo, di svolgere varie incombenze, tra cui la quotidiana preparazione del rancio e la pulizia del campo medesimo. Tra di esse, ne spiccava una in modo particolare, per la sua notevole bellezza. Il Colonnello ebbe una relazione con tale donna, da cui nacque un bambino. La mia preziosa fonte informativa, che faceva parte di qual drappello militare, mi confidò di avere tenuto più volte, tra le proprie braccia, tale bambino. Nel novembre 1942, dopo la Seconda Battaglia di El Alamein, Rommel ordinò il ripiegamento delle Forze dell’Asse. Poco prima, il Colonnello italiano del distaccamento nella Sirte, preconizzando una imminente sconfitta definitiva delle truppe italo-tedesche, riuscì ad ottenere una breve licenza, durante la quale, a bordo di un velivolo da egli stesso pilotato, si recò a Venezia, sua terra natia. L’Ufficiale italiano portò con sé il figlio e, una volta giunto in Laguna, lo fece battezzare. Quindi, entrambi ritornarono sùbito presso il distaccamento nella Sirte. In seguito all’ordine di ritirata, impartito da Rommel, anche quel manipolo di soldati italiani abbandonò la propria postazione. Il Colonnello, dopo avere lasciato il figlio alla madre, perse la vita nei successivi scontri bellici. Quel bambino era Muammar Gheddafi!
I Servizi italiani hanno sempre saputo che Gheddafi fosse italiano. Infatti, essi lo hanno protetto e salvato, ogniqualvolta egli si fosse trovato in serio pericolo di vita. Come non ricordare le numerose tempestive informative della nostra Intelligence, indirizzate a Tripoli! Il Direttore del SID, Gen. Vito Miceli, fu informato che, a Trieste, fosse pronta a salpare una nave carica di armi e mercenari, la quale sarebbe dovuta sbarcare in Libia, con l’obiettivo di attuare un golpe filomonarchico e di destituire Gheddafi con la forza. Miceli, invece, dispose una efficace contromossa, inviando a Trieste i propri uomini (tra cui la sottoscritta), i quali sabotarono i motori della nave. L’aereo Dakota C 47, nome in codice Argo 16, in dotazione al SIOS (in seguito abbattuto sopra Mestre dal Mossad), si recò diverse volte in Libia, per condurre i nostri uomini dell’Intelligence, affinché essi potessero garantire appoggio e tutela a Gheddafi. Perfino Licio Gelli, a bordo di Argo 16, atterrò a Tripoli. Egli aveva sempre offerto aiuto e protezione al Rais. Degna di nota anche la richiesta avanzata all’epoca dal capo dello spionaggio francese, Alexander de Marenches, al Gen. Santovito, Direttore del SISMI, perché lo sostenesse nel realizzare un progetto di colpo di Stato in danno di Gheddafi, preparato dal Comandante della Guarnigione di Derna. Invece, evitando di dare corso alla predetta proposta, Santovito informò immediatamente il Colonnello, il quale riuscì a sventare il golpe. Nel 1986, il Rais fu ancora aiutato, per iniziativa diretta dell’allora Presidente del Consiglio Craxi.
Gheddafi è stato un personaggio eccezionale. Fu un uomo coraggioso e leale. Giustamente, oggi egli è ritenuto un eroe, paragonato addirittura a Maometto ed Allah. Da bambino, egli era solito dormire nei Minareti, al fine di frequentare la scuola. Dopo una settimana, ritornava a piedi nella Sirte. Aveva studiato nelle Accademie Militari e, ideologicamente, si ispirava a Gamal Abdel Nasser. Quando nel 1969 diresse il colpo di Stato, tramite il quale assunse il potere, Gheddafi aveva soltanto 27 anni. Durante il golpe non fu versata una sola goccia di sangue. Pertanto, se ne deducono una eccelsa preparazione militare ed un’alta competenza strategica. Il Rais promise al popolo libico che avrebbe portato l’acqua nel deserto e che lo avrebbe altresì irrigato, rendendolo fertile. Tutti impegni che, effettivamente, egli seppe mantenere. Nel 1975, il Colonnello pubblicò il Libro Verde, in cui espose il suo pensiero politico, una sorta di «terza via» alternativa tra comunismo e liberalismo capitalista. Per oltre quarant’anni è stato Guida della Rivoluzione, Capo della Jamahiriya araba libica. Nel corso di quel lungo periodo, egli ha sempre amato il suo Paese ed il suo popolo, così come quest’ultimo ha amato lui. Il Colonnello si è sempre prodigato per difendere ed arricchire la Patria, promuovendo un diffuso benessere collettivo, di cui tutti i libici hanno beneficiato, vivendo in ottimali condizioni. Egli è stato un vero «rivoluzionario», nel senso più propositivo, costruttivo e benefico possibile. Con Gheddafi, il Paese fu gravato dal debito pubblico più basso al mondo. Le politiche del Rais permisero alla popolazione di avere un reddito medio più che dignitoso. Egli aveva istituito un efficiente «Stato sociale», in grado di erogare un’ampia gamma di servizi, i quali soddisfacevano ogni sorta di esigenza dei cittadini. Egli diede tutto al suo amato Popolo: case di proprietà, soldi, lavoro, ospedali, scuole! Imponenti furono le infrastrutture pubbliche realizzate, tra cui spicca il famoso acquedotto Man made River. La banca statale libica ha gestito un’attività finanziaria non «occidentale» (basata sulla ricerca speculativa del profitto mediante il mero prestito del denaro), bensì «islamica», in ossequio ai precetti contenuti ne Il Corano, relativi alla ferma condanna dell’usura. Innovativa fu anche la politica estera attuata da Gheddafi, come la costituzione dell’Unione Africana, istituita ufficialmente nel 2002, ma fondata con la Dichiarazione di Sirte del 9 settembre 1999. Il sottosuolo era ricchissimo, grazie alla presenza del petrolio da esportazione. Il Rais aveva progettato perfino di adottare una moneta unica, ossia il Dinaro d’oro, che potesse sostituire il dollaro statunitense, come alternativa, nelle transazioni delle Nazioni appartenenti al Continente nero. Gheddafi non era un uomo violento. Egli non scatenò mai alcuna guerra, né chiamò il suo popolo sotto le armi. Durante una sua famosa intervista, condotta da Enzo Biagi, il Rais parlava con calma e si esprimeva con una palese flemma, mostrando un viso pacifico. Ciò costituiva la perfetta manifestazione esteriore del suo mansueto carattere. Egli aveva timore del terrorismo, soprattutto quello creato, gestito ed incanalato dalle note potenze occidentali. Certo, Gheddafi tentò di armarsi, ma soltanto a fini difensivi! Durante il suo operato quale Guida della Libia, il Colonnello predispose una dura ed efficace repressione della rete jihadista, le cui varie milizie terroristiche, legate al Gruppo Islamico Combattente Libico, nonché ad al-Qaeda, furono costrette alla clandestinità.
In data 30 agosto 2010, fu concluso il profittevole Trattato di amicizia e cooperazione tra Italia e Libia. Negli anni precedenti, infatti, il nostro Paese era stato vittima di una invasione indiscriminata di clandestini. In forza del predetto trattato, Gheddafi si era fattivamente impegnato nell’evitare la partenza dalle proprie coste di qualunque imbarcazione, la quale, con a bordo immigrati di ogni risma, volesse salpare per l’Italia. Il Rais, uomo d’onore, abituato a mantenere fede ai patti prestati, aveva infatti dato ordine alle proprie Forze Armate e di Polizia di sparare giustamente a vista, proprio con l’intento di arginare tale destabilizzante fenomeno immigratorio. Grazie a tale decisa politica di sicurezza, la nostra Patria ha beneficiato di una indubbia tranquillità. Quando lo accolse esultante a Roma, il Presidente del Consiglio Berlusconi, perfettamente a conoscenza del fatto che fosse italiano, si spinse fino a baciare le mani di Gheddafi, in Via dei Fori Imperiali, quasi fosse, quello, un gesto di lealtà. Eppure, il «cavaliere», un vile traditore, già sapeva che, di lì a pochi mesi, avrebbe concorso alla criminale e terroristica uccisione del Colonnello, il quale fu barbaramente eliminato, con inumana ferocia, nel peggiore dei modi. L’ignobile tradimento, tanto spregevole quanto infido, rappresenta una congenita caratteristica ed una esteriorizzazione del dna degli «occidentali» (tra cui spicca in modo assoluto quel viscido traditore di Berlusconi), i quali sono sempre pronti a pugnalare alle spalle i loro fratelli, soltanto per mettere in salvo le proprie misere vite, nonché per brama di potere ed avidità di pecunia. Durante l’aggressione alla Libia, Berlusconi inviò due caccia Tornado IDS, Interdiction/Strike, in forza al 6° Stormo di Ghedi, Brescia, Aeronautica Militare. Tali velivoli avrebbero dovuto condurre «missioni di attacco al suolo per la neutralizzazione di obiettivi militari, assegnati dal Comando Alleato». Consapevole della propria ignobile condotta, il «cavaliere» diramò un ordine riservato, affinché i due Tornado svolgessero tutte le missioni «in incognito», senza i classici segni distintivi di riconoscimento. Quando, tuttavia, la notizia filtrò in certi ambienti militari, per Berlusconi si palesò il concreto rischio che tali fatti diventassero di dominio pubblico. Pertanto, i quattro Ufficiali che presero parte alle operazioni belliche contro la Libia (i Capitani Alessandro Dotto, Paolo Piero Franzese, Giuseppe Palminteri, Mariangela Valentini) furono scientemente eliminati. Non dovevano parlare! Che abominevole vergogna, tutta italiana! Gli Usa, che reputavano il Rais quale acerrimo nemico, avevano «magistralmente» condotto criminali operazioni psicologiche, determinando il classico «lavaggio del cervello» a tutti i Paesi occidentali, che, peraltro, già si trovavano sotto il giogo statunitense. Washington muoveva sapientemente i propri tentacoli in modo occulto, originando indebite ingerenze nella legittima sovranità di Stati terzi. La Casa Bianca ha potuto contare anche sull’indispensabile appoggio di organizzazioni internazionali e di potenti lobbies finanziarie, le quali, mediante continue azioni di mistificazione e di disinformazione, hanno saputo abilmente indottrinare le masse, nonché dirigere l’opinione pubblica. Gli Usa affermavano con mendace spudoratezza che Gheddafi fosse un pericoloso terrorista e che, pertanto, fosse da abbattere. Come ovvia conseguenza, il Colonnello finì per essere letteralmente odiato da tutto il mondo occidentale. In data 7 ottobre 1985, un commando di quattro uomini prese con le armi il controllo della nave Achille Lauro, la quale si trovava al largo delle coste egiziane. A bordo si trovavano oltre 400 persone, che, di fatto, furono sequestrate. Unica vittima di quell’azione fu l’ebreo Leon Klinghoffer, cittadino statunitense, il quale fu ucciso. Il 9 ottobre 1985, si arrivò alla liberazione degli ostaggi. Tali fatti costituirono la premessa per la «crisi di Sigonella». Tale operazione terroristica fu imputata, sebbene falsamente, a Gheddafi. Anche la strage di Fiumicino, occorsa il 27 dicembre 1985, in cui furono uccise 13 persone, fu mendacemente addebitata al Colonnello. In data 21 dicembre 1988, si verificò un altro funesto attentato, a causa del quale il volo Pan Am 103 esplose e si schiantò sulla cittadina scozzese di Lockerbie, provocando la morte di 270 persone. I colpevoli della strage erano iraniani. Infatti, Teheran avanzò formali scuse a Washington. Tuttavia, gli Usa stabilirono che, a vantaggio della propria politica di aggressione, fosse più utile attribuire la responsabilità dell’attentato a Gheddafi, il quale era completamente estraneo all’intero luttuoso episodio. Ma tanto bastava, perché il Consiglio di Sicurezza Onu decidesse di varare un embargo contro la Libia. In seguito, il Rais risarcì i parenti delle vittime, tuttavia non per una presunta ed asserita ammissione di responsabilità. Egli maturò tale decisione soltanto per un semplice obiettivo strategico, ossia la revoca dell’anzidetta sanzione dell’embargo. Comunque, gli Usa giunsero ad affermare che ogni sorta di attentato portasse la firma del Rais! Pura vergognosa mistificazione! Il Colonnello fu marchiato in modo indelebile da Washington, che ne compromise per sempre l’onorabilità! Ormai, Gheddafi era diventato il «mostro», la personificazione di Lucifero! Non serviva nemmeno più documentarsi, leggendo i quotidiani: ogni attentato era sfrontatamente ascritto al Rais! L’apogeo della criminale e spregevole infamia fu raggiunta con la Primavera araba, i cui terroristici moti rivoluzionari di piazza iniziarono ufficialmente il 26 gennaio 2011, sebbene, già da tempo, squadre non convenzionali della Nato avessero preparato il relativo campo, attuando operazioni clandestine di false flag. Gli scontri armati si propagarono anche dalle città di Bengasi e Misurata. Le criminali potenze occidentali che presero parte a questa terroristica campagna di aggressione, affamate di sangue e potere, miravano esclusivamente ad impossessarsi degli smisurati giacimenti del sottosuolo libico, soprattutto petrolio, nonché delle immense riserve monetarie ed auree. A tale proposito, degna di menzione risulta la conferenza stampa rilasciata dal Presidente venezuelano, Hugo Chàvez, in data 8 ottobre 2012, giorno seguente alla sua rielezione. Chàvez aveva asserito che le «crisi» di Libia e Siria, in verità, fossero operazioni «pianificate e provocate dall’esterno», nel vergognoso alveo della nuova èra imperialistica occidentale (soprattutto statunitense), attuata tramite bombardamenti ed azioni destabilizzanti, contro la legittima sovranità ed indipendenza dei Popoli, nonché delle loro Patrie. Chàvez affermò che le riserve internazionali del popolo libico ammontassero alla impressionante somma di 200 miliardi di dollari. In seguito alla delittuosa aggressione della «Santa Alleanza Atlantica», le terroristiche Nazioni occupanti «rubarono» letteralmente l’intero importo delle predette riserve, adducendo, come infondata giustificazione, che si trattasse del patrimonio personale del Rais. Niente di più turpe e falso! Comunque, quello non fu il vero «tesoro» di Gheddafi. O meglio, ne rappresentò una minima parte. Il Rais possedeva trilioni di dollari! Tra le cause sottostanti al criminale attacco della Nato figurava altresì la difesa valutaria del dollaro, «minacciato» dalle politiche monetarie del Colonnello.
Tra i gravi «oltraggi» al diritto internazionale, è annoverata anche l’illegale condotta dell’Onu, che ha violato l’art. 2 della propria «Carta», manifestando una illecita ingerenza negli affari interni della Libia, nonché autorizzando l’uso della forza, tramite delega di tutte le operazioni belliche alla Nato (Risoluzione n. 1.973/2011, Consiglio di Sicurezza Onu). Usa, Francia, Inghilterra e gli altri Paesi della Coalizione furono autorizzati a compiere vere e proprie atrocità, conducendo le operazioni Odissey Dawn ed Unified Protector. Con l’illegittima e vergognosa imposizione di una no fly zone alla Tripolitania, sebbene la popolazione libica ivi presente sostenesse apertamente il Rais, la Nato si rese responsabile, dopo numerose incursioni aeree, del terroristico eccidio di migliaia di civili innocenti. I colpevoli di tali efferati crimini di guerra hanno ben precisi nomi. Essi sono i terroristi Nicolas Sarkozy, Hillary Clinton e Barack Obama! Addirittura, in data 19 marzo 2011, mentre fosse ancora in corso il vertice di Parigi, indetto dal Presidente Francese, proprio al fine di discutere della suddetta Risoluzione Onu, adottata due giorni prima, il medesimo Sarkozy, sponsorizzato dalla Total, diede ordine di iniziare i terroristici bombardamenti sulla Libia, sebbene la Nato non avesse ancora diramato l’ordine ufficiale di attacco! Sarkozy, poco tempo prima, ebbe addirittura il «coraggio» di domandare al Rais, con perfetta ipocrisia e senza ritegno, la corresponsione di ben 50 milioni di dollari, che gli servivano per la sua campagna elettorale. Ma Sarkozy già sapeva che non avrebbe mai restituito quella somma, poiché egli aveva già condannato a morte il Colonnello! Sporchi ed infami traditori! Il Rais fu vigliaccamente ucciso il 20 ottobre 2011 ed il suo corpo fu esposto, per alcuni giorni, in una moschea di Misurata. I suoi carnefici non avevano ancora pienamente soddisfatto i propri biechi istinti animaleschi. Le sue spoglie furono sepolte in una località segreta del deserto. Il Capo della Jamahiriya era temuto anche da morto. Il sicario di Gheddafi è stato Chris Stevens, Capocentro Cia, ma, ufficialmente, «Ambasciatore» Usa in Libia. Le milizie terroristiche libiche furono armate e sostenute dagli statunitensi. Tuttavia, di questi ultimi, i guerriglieri jihadisti non si fidavano affatto, proprio a causa del tradimento perpetrato da Washington a Gheddafi, temendo di essere destinati alla medesima ignobile fine. Pertanto, in data 11 settembre 2012, il Consolato Usa di Bengasi fu preso d’assalto dai suddetti insorti jihadisti, i quali uccisero proprio Chris Stevens, insieme a tre suoi collaboratori. Come dimenticare, invece, le perfide ed allucinanti risate della criminale Clinton, nel commentare l’omicidio del Colonnello! Soltanto una pazza posseduta, che incarna alla perfezione il «male assoluto», può arrivare a così tanta odiosa empietà!
«Dopo di me, il caos»: queste le profetiche parole del Rais, pronunciate nel 2011. Non ci sarà più un altro «Colonnello di Ferro». Ma lo Spirito di Gheddafi vivrà comunque in eterno.

(dal prossimo numero de "il Borghese" n. 2 - Febbraio 2017) tratto dal libro di Mary Pace

MLince Grassi










martedì 24 gennaio 2017

NO A QUALUNQUE TIPO DI VIOLENZA PSICOLOGICA SULLE DONNE SOPRATTUTTO A QUELLA CHE NON SI VEDE!


NO ALLA VIOLENZA SULLE DONNE

Una donna su tre nella sua vita subisce violenza di vari tipi : Sessuale, domestica, psicologica, stalking. Sono dati esagerati? No, sono i dati di un’indagine Europea del 2014 che ha mostrato come a livello di Stati Membri 1 donna su 3 ha subito qualche violenza sessuale e/o fisica almeno una volta nella vita a partire dall’età di 15 anni.
Sono numeri che fanno riflettere e anche tanto. Spesso le donne hanno paura e continuano a subire in silenzio per la presenza di un legame emotivo con il partner, per il timore delle conseguenze o di stigmatizzatizzazione da parte degli altri, o ancora, che la sua denuncia non venga presa sul serio e che nessuno possa aiutarla come purtroppo a volte succede (!!)
Ma tutto questo è sbagliato. E' il concetto che sta alla base di questo pensiero ad esserlo anzitutto.
La violenza può avere effetti devastanti sulla vittima e le conseguenze non sono solo di tipo psicologico ma anche di tipo fisico legate alla salute oppure di tipo economico per le ripercussioni sulla attività lavorativa. Le conseguenze negative della violenza coinvolgono tutti i membri di una famiglia, soprattutto i figli anche se sono testimoni .

Per difendersi le donne devono condividere il problema con chi sta loro accanto: amici, parenti, colleghi e rivolgersi alla polizia sperando di trovare chi ascolti, alle associazioni contro la violenza o ad un avvocato.



ANCHE A QUELLA PSICOLOGICA E' UN TIPO DI VIOLENZA !

ESEMPI DI VIOLENZA PSICOLOGICA

Rientrano tra le fattispecie di violenza psicologica:

Insulti in privato e/o in pubblico
Minacce verso la persona o i suoi cari (figli, famigliari, partner, amici, colleghi, animali domestici, altro…)
Urla indirizzate contro la persona o i suoi cari (figli, famigliari, partner, amici, colleghi, animali domestici, altro…)
Ricatti materiali o morali
Comportamenti dispregiativi e denigratori sistematici (parole sprezzanti ed offensive umiliazioni, ridicolizzazioni, rimproveri, critiche avvilenti, continui confronti con altre donne o precedenti partner)
Controllo sulle azioni (controllo degli orari, delle spese, delle relazioni, delle scelte), sulle parole (correzione continua), sui pensieri
Isolamento fisico e/o relazionale (esclusione dai contatti amicali e famigliari, esclusione dalla comunità di appartenenza)
Ostacoli a perseguire propri obiettivi e desideri (a che la persona prosegua o si cerchi un lavoro verso il quale si sente portata; a che abbia un figlio oppure decida di non averlo; a iniziare, proseguire o riprendere gli studi…)
Limitazione della libertà personale nei movimenti e spostamenti (obbligo di uscire di casa solo in certi orari, obbligo di non uscire sola, ..)
Tradimenti, inganni, menzogne che negano la realtà;
Gelosia patologica (dubbi costanti sulla fedeltà della donna; impedimento a o rimprovero per l’incontro con uomini al lavoro, per strada, in famiglia, tra amici)
Imposizione di un determinato abbigliamento
Imposizione di determinati comportamenti in pubblici e/o in privato
Controllo maniacale della gestione della vita quotidiana
Indifferenza alle richieste affettive
Chiusura comunicativa persistente
Rifiuto sistematico di svolgere lavoro domestico e/o educativo
Sottrazione/danneggiamento volontario di oggetti o animali suoi o dei suoi cari
Rifiuto di lasciare la casa coniugale
Imposizione della bigamia-poligamia
Sottrazione del passaporto, del permesso di soggiorno o di altri documenti necessari
Obbligo/minaccia di tornare al paese d’origine
Matrimonio precoce o forzato
Minaccia di suicidio o autolesionismo da parte del partner
Obbligo firma di dimissioni in bianco


La Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa, sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica  - è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro diverse forma di violenza. È particolarmente rilevante perché riconosce la violenza contro le donne quale violazione dei diritti umani, oltre che come forma di discriminazione contro le donne (art. 3 dellaConvenzione). La Convenzione stabilisce un chiaro legame tra l’obiettivo della parità tra i sessi e quello dell’eliminazione della violenza nei confronti delle donne.

Questa Convenzione ha 81 articoli ed è stata adottata dal Consiglio d'Europa l'11 maggio 2011
è entrata in vigore negli Stati del Consiglio d’Europa che l’anno ratificata - tra cui l'Italia - il 1° agosto 2014 essa riconosce un ruolo fondamentale alla società civile per eliminare la violenza.

I fondamenti promossi dalla convenzione sono : la prevenzione, la protezione delle vittime, la punizione dei maltrattanti. La convenzione ha un meccanismo di monitoraggio degli Stati per verificare che applichino gli obblighi contenuti e ratificati. L’organo di monitoraggio è il GREVIO (gruppo di eseperti ed esperte sulla violenza ).

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