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martedì 24 gennaio 2017

NO A QUALUNQUE TIPO DI VIOLENZA PSICOLOGICA SULLE DONNE SOPRATTUTTO A QUELLA CHE NON SI VEDE!


NO ALLA VIOLENZA SULLE DONNE

Una donna su tre nella sua vita subisce violenza di vari tipi : Sessuale, domestica, psicologica, stalking. Sono dati esagerati? No, sono i dati di un’indagine Europea del 2014 che ha mostrato come a livello di Stati Membri 1 donna su 3 ha subito qualche violenza sessuale e/o fisica almeno una volta nella vita a partire dall’età di 15 anni.
Sono numeri che fanno riflettere e anche tanto. Spesso le donne hanno paura e continuano a subire in silenzio per la presenza di un legame emotivo con il partner, per il timore delle conseguenze o di stigmatizzatizzazione da parte degli altri, o ancora, che la sua denuncia non venga presa sul serio e che nessuno possa aiutarla come purtroppo a volte succede (!!)
Ma tutto questo è sbagliato. E' il concetto che sta alla base di questo pensiero ad esserlo anzitutto.
La violenza può avere effetti devastanti sulla vittima e le conseguenze non sono solo di tipo psicologico ma anche di tipo fisico legate alla salute oppure di tipo economico per le ripercussioni sulla attività lavorativa. Le conseguenze negative della violenza coinvolgono tutti i membri di una famiglia, soprattutto i figli anche se sono testimoni .

Per difendersi le donne devono condividere il problema con chi sta loro accanto: amici, parenti, colleghi e rivolgersi alla polizia sperando di trovare chi ascolti, alle associazioni contro la violenza o ad un avvocato.



ANCHE A QUELLA PSICOLOGICA E' UN TIPO DI VIOLENZA !

ESEMPI DI VIOLENZA PSICOLOGICA

Rientrano tra le fattispecie di violenza psicologica:

Insulti in privato e/o in pubblico
Minacce verso la persona o i suoi cari (figli, famigliari, partner, amici, colleghi, animali domestici, altro…)
Urla indirizzate contro la persona o i suoi cari (figli, famigliari, partner, amici, colleghi, animali domestici, altro…)
Ricatti materiali o morali
Comportamenti dispregiativi e denigratori sistematici (parole sprezzanti ed offensive umiliazioni, ridicolizzazioni, rimproveri, critiche avvilenti, continui confronti con altre donne o precedenti partner)
Controllo sulle azioni (controllo degli orari, delle spese, delle relazioni, delle scelte), sulle parole (correzione continua), sui pensieri
Isolamento fisico e/o relazionale (esclusione dai contatti amicali e famigliari, esclusione dalla comunità di appartenenza)
Ostacoli a perseguire propri obiettivi e desideri (a che la persona prosegua o si cerchi un lavoro verso il quale si sente portata; a che abbia un figlio oppure decida di non averlo; a iniziare, proseguire o riprendere gli studi…)
Limitazione della libertà personale nei movimenti e spostamenti (obbligo di uscire di casa solo in certi orari, obbligo di non uscire sola, ..)
Tradimenti, inganni, menzogne che negano la realtà;
Gelosia patologica (dubbi costanti sulla fedeltà della donna; impedimento a o rimprovero per l’incontro con uomini al lavoro, per strada, in famiglia, tra amici)
Imposizione di un determinato abbigliamento
Imposizione di determinati comportamenti in pubblici e/o in privato
Controllo maniacale della gestione della vita quotidiana
Indifferenza alle richieste affettive
Chiusura comunicativa persistente
Rifiuto sistematico di svolgere lavoro domestico e/o educativo
Sottrazione/danneggiamento volontario di oggetti o animali suoi o dei suoi cari
Rifiuto di lasciare la casa coniugale
Imposizione della bigamia-poligamia
Sottrazione del passaporto, del permesso di soggiorno o di altri documenti necessari
Obbligo/minaccia di tornare al paese d’origine
Matrimonio precoce o forzato
Minaccia di suicidio o autolesionismo da parte del partner
Obbligo firma di dimissioni in bianco


La Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa, sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica  - è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro diverse forma di violenza. È particolarmente rilevante perché riconosce la violenza contro le donne quale violazione dei diritti umani, oltre che come forma di discriminazione contro le donne (art. 3 dellaConvenzione). La Convenzione stabilisce un chiaro legame tra l’obiettivo della parità tra i sessi e quello dell’eliminazione della violenza nei confronti delle donne.

Questa Convenzione ha 81 articoli ed è stata adottata dal Consiglio d'Europa l'11 maggio 2011
è entrata in vigore negli Stati del Consiglio d’Europa che l’anno ratificata - tra cui l'Italia - il 1° agosto 2014 essa riconosce un ruolo fondamentale alla società civile per eliminare la violenza.

I fondamenti promossi dalla convenzione sono : la prevenzione, la protezione delle vittime, la punizione dei maltrattanti. La convenzione ha un meccanismo di monitoraggio degli Stati per verificare che applichino gli obblighi contenuti e ratificati. L’organo di monitoraggio è il GREVIO (gruppo di eseperti ed esperte sulla violenza ).

-------------------- Video GREVIO  ------------------







domenica 22 gennaio 2017

Il Carrozzone va avanti da se, ma chi si divertirà?






Mi è stato chiesto di scrivere un articolo sull'opporunità o meno della messa in onda del Festival di Sanremo in un momento critico come quello in cui sta versando l'Italia. CI ho dovuto pensare un po' per molti motivi ma poi me ne è stata spiegata l'importanza e dunque mi sono decisa a farlo.

E' fin troppo facile criticare l’”evento Festival di San Remo”, dal punto di vista dei contenuti della società dello spettacolo. Ci troviamo di fronte a una specie di macchina quale è l’industria dell’intrattenimento, che ha ormai una sua forza propria autoriproduttiva sotto il profilo economico - sociale attraverso la costruzione di tanti “microeventi”, come appunto quello del Festival ma questo è un discorso che può anche estendersi ad altri settori come quello del cinema, dell’editoria, e così via. Quindi non c'è nessuna novità nella modernità capitalistica. Questo ingranaggio si riproduce perché gode del crescente consenso sociale.

Il vero nucleo del problema è l' assuefazione psichica e culturale crescente delle masse ormai mediatizzate che consentono a questa macchina di riprodursi nei vari strati sociali. Nessuno è obbligato ad accendere la televisione e formalmente siamo liberi , ma di fatto la maggior parte della popolazione  la accende e durante i giorni del Festival in molti seguono la kermesse.

I motivi per cui la gente accende l'apparecchio televisivo anche per seguire il Festival sono due :

1) perchè nelle nostre società "apparentemente democratiche", il controllo dei valori culturali ricevuti e trasmessi è sotto stretta sorveglianza attraverso una forma di controllo subliminale compiuta dalle stesse organizzazioni mediatiche, sviluppatesi fin dalla seconda metà del secolo scorso. Da quel momento in poi una progressiva povertà di contenuti culturali autentici anche perchè è risaputo che i media dipendono dal potere economico, il quale potere economico è rimandato a quello politico che a sua volta, rimanda a quello economico. Si tratta di un processo circolare che culturalmente privilegia la conservazione dello status quo ,cioè dei rapporti politici ed economici in atto. In sostanza possono cambiare gli attori politici ed economici, ma non la struttura politico- economica e sociale, e i valori sui cui essa poggia e che vuole trasmettere. Questi valori però sono “autentici” per il sistema, ma non sempre lo sono per ogni singolo individuo o per tutti i gruppi sociali.

2) Il secondo motivo è la povertà di autentici valori culturali dovuta anche alla conformazione sociale dei media che dovendo parlare a tutte le fasce sociali, devono banalizzare i contenuti, implicando con questo, lo sviluppo di un nucleo molto ristretto di valori di divertimento e innocui sotto il profilo politico e sociale. Si tratta di un processo parzialmente eterodiretto da un lato e dall'altro , frutto di quei meccanismi autoriproduttivi della macchina dell’industria dello spettacolo. La pressione è stata
talmente forte in passato come lo è tuttora, che i valori ludici sono ormai ritenuti dalle masse mediatizzate, come autentici. E questo risponde alla domanda sul perchè del largo seguito che hanno eventi come il “Festival di San Remo”.


Però come è vero che nelle nostre società il controllo dei valori culturali è strettamente sorvegliato, è vero anche che i processi sociali non si fondono solo nei processi di condizionamento, ma esiste anche il processo di innovazione creativa spesso opera di alcune minoranze, se non proprio di singoli individui mossi da un bisogno di autenticità sociale. Questo processo innovativo, può diffondersi, attraverso gli stessi processi meccanicistici sopra descritti. I quali, sono socialmente neutrali, in quanto possono veicolare sia il bene come il male… Pertanto vanno difese e utilizzate tutte sfere di libertà, anche di dimensioni ridotte, capaci però di favorire l’innovazione politico- sociale in ogni ambito, ma nel rispetto di tutti. Ma questo processo non è facile perché, attualmente, il comportamento meccanicistico prevale su quello innovativo. Ma noi siamo consapevoli che i processi sociali, sono basati anche sull’innovazione evolutiva, e che generalmente le società cambiano per saturazione, specialmente quando valori intrinsecamente forti negli individui vengono messi a dura prova o addirittura schiacciati da altri del tutto opposti.


Per quanto complessa possa essere la definizione di ciò che è arte, è innegabile che, dal punto di vista etico, essa va vista essenzialmente come una forma di comunicazione appartenente al campo dell’espressione, cioè un Linguaggio di quella forma di comunicazione dove il messaggio comunicato è parte della verità della stessa persona che si esprime, e momento significativo della sua interiorità.


Una forma importante di comunicazione sociale, che fonde il gratuito dell’arte con il mercantile della comunicazione di massa, è lo spettacolo che rappresenta anzitutto uno specchio dove nei suoi spettacoli ogni popolo rappresenta se stesso, la sua storia passata, la sua vita attuale con le sue tensioni e le sue credenze, le paure e le speranze nei confronti del futuro. Solo nelle società più evolute e contrassegnate da un forte pluralismo ideologico e indifferentismo religioso, diventano possibili forme di spettacolo concepite e attualizzate al di fuori di ogni consapevole volontà di socializzazione e di educazione morale e civica: è lo spettacolo di pura evasione. Ma la ‘pura evasione’ di cui parliamo è un prodotto della società del benessere e della crescita della domanda dei consumi . In una società dove tutto diventa oggetto di scambio, anche lo spettacolo diventa una merce, dotata di un valore di scambio misurata sulla base della domanda di mercato. Ma alcune rappresentazioni che incitano alla violenza e alla disobbedienza rinunciano ad ogni funzione educativa , non solo, ma anche ad ogni vera pretesa artistica .


Proprio in riferimento a queste responsabilità formative e sociali si impone il bisogno di una deontologia della professione dello spettacolo. Per chi veramente crede in una superiore verità dell’uomo e in un senso della vita, lo spettacolo è sollecitato a crearsi una forma di educazione morale e al contempo, ha la responsabilità di non tradire la fiducia del pubblico e gli interessi veri dell’uomo attraverso una comunicazione non autentica e distruttiva di umanità.Una responsabilità che pesa particolarmente su chi crede nella dignità dell’uomo e nei valori che lo realizzano: è una responsabilità che pone in essere il dovere morale di una certa autocensura, che deve avere come oggetto non solo gli aspetti negativi della realtà umana, quanto ciò che, nel suo essere comunicato, risulterebbe distruttivo di umanità nei confronti dei destinatari .
Ovviamente esiste anche il diritto-dovere della comunità a difendersi da queste forme distruttive di spettacolo con le forme più idonee di controllo sociale , la cosiddetta Censura.
Per quanto perciò una società possa essere democratica e pluralista, in ognuna esiste un minimo comune denominatore di convinzioni, di valori, di norme etiche che godono del consenso praticamente unanime dei suoi membri e che sono ad esempio i valori definiti dalle varie ‘dichiarazioni dei diritti universali dell’uomo’, i principi fondamentali delle diverse ‘costituzioni’ e alcuni di quegli elementi dell’eredità morale del cristianesimo nel quale molti individui si riconoscono.
La società è chiamata a "difendere" questa linea base di valori così come a difendere il bene comune. Se non lo facesse sarebbe condannata alla disgregazione.


La domanda che in molti ci stiamo facendo, credo la maggior parte di noi, è se sia opportuno, in questo momento di grave calamità meteorologica ed economica, di mandare in onda il carrozzone del Festival di San Remo dove il conduttore prende una cifra spropositata per il ruolo che svolge sottraendo così il denaro versato dalla popolazione sotto forma del canone , che potrebbe essere invece destinato alle popolazioni colpite dal cataclisma e mentre la nostra Nazione è in ginocchio sotto ogni punto di vista : da quello economico a quello sociale e morale e dove da un lato vengono chiesti i soldi attraverso dei fasulli SMS che non sono mai arrivati ai destinatari , e dall'altra ci sono nella realtà persone che a mani nude e concretamente cercano di salvare vite umane sepolte sotto l'enorme strato di neve o sotto le macerie del terremoto . Persone a cui vergognosamente sono anche stati tolti dei soldi dai loro stipendi ma nonostante ciò proseguono le estenuanti ricerche perchè per loro ciò che conta è la vita umana. Lo stanziamento di di 30 milioni di euro per aiutare 30 mila persone è ridicola perchè risulta la cifra di mille euro a persona.
Mi auguro almeno che visto che saranno in pochi a divertirsi in quei 10 giorni, che tutto sia  molto sobrio e senza la provocazione di quel finto cantante con la moquette gialla sulla sua zucca vuota.


Mi domando se l'Anchor man del Festival ha il coraggio di guardarsi dentro e se sente la sua coscienza pulita nell'accettare tutto sorridente e felice ( lo credo ) quella cifra sapendo che alcuni suoi connazionali sono vivi per miracolo mentre "Uomini veri" stanno lavorando per permettere loro di vivere proprio mentre lui farà battute di dubbio gusto comme d'habitude pensando di far ridere qualcuno.


MLince Grassi




venerdì 20 gennaio 2017

La macchina della Burocrazia



Il paesaggio sociale odierno è dominato da grandi e impersonali associazioni che influenzano la nostra vita sin dal momento della nostra nascita. Alcune di esse sono volontarie in quanto le persone possono scegliere liberamente se aderirvi o meno, altre invece sono obbligatorie poichè le persone in questo caso non hanno libera scelta, sono costrette a farne parte. Altre sono di tipo utilitario ,nel senso che le persone entrano a farne parte per motivi pratici. Ma qualunque sia il tipo di organizzazione di cui facciamo parte e qualunque siano le ragioni della nostra appartenenza ad esse il fatto certo è che trascorriamo una consistente parte della nostra esistenza in questi gruppi impersonali e grandi.

Senza organizzazioni "ben dirette" i nostri standard di vita e il nostro modo di vivere non reggerebbero. Per questo la razionalità anizzativa e la serenità umana fino ad un certo punto vanno di pari passo, il problema però è che siamo arrivati ad un punto in cui serenità ed efficienza cessano di sostenersi vicendevolmente. Da questo momento in poi inizia il grande dilemma.

Quanto più grande e complicata diventa un'organizzazione formale, tanto più grande insorge il bisogno di creare una catena di comando che coordini le attività dei suoi membri e in teoria, questo bisogno dovrebbe essere soddisfatto dalla cosiddetta Burocrazia, cioè una struttura di attività gerarchica che opera in base a regole e procedure ben precise.




Generalmente il termine "burocrazia" ha connotazioni negative in ogni idioma perchè ci evoca immagini di moduli in duplice o triplice copia, di pratiche smarrite o di certificati sbagliati, di impiegati allo sportello accecati da regolamenti assurdi , di risposte evasive che tendono allo scaricabarile e sotto il profilo dell'individuo il termine "burocrazia" spesso è sinonimo di inefficienza.

Questa macchina dovrebbe essere il più efficace dei mezzi escogitati dall'uomo per poter produrre una grande quantità di lavoro organizzato e si è sviluppata perchè la maggior parte degli scopi per cui è nata è efficiente.




Per stabilire qual'è la struttura formale di una burocrazia , bisogna dare uno sguardo alla sua mappa organizzativa che ci mostra le linee di autorità lungo le quali le varie comunicazioni passano da un uffico all'altro in linea generale in forma scritta. Ma nella pratica nessuna burocrazia funzion alla lettera le disposizioni di un manuale. Il motivo è che le persone si conoscono in quanto tali e non solamente come funzionari o impiegati e stabiliscono fra loro dei rapporti primari piegando a loro piacimento o infrangendo delle regole sviluppando così procedure informali per trattare i problemi e quando possono , passano attraverso la gerarchia seguendo delle scorciatoie ( su questo argomento ci sono ricerche effettuate tra il 1927 e il 1932 che non sto a spiegare ) e comunque anche ricerche più recenti confermano che la struttura formale della burocrazia genera sempre rapporti e pratiche informali.

Dal momento che le informazioni viaggiano in modo lento attraverso i canali ufficiali e che determinate decisioni prese a livello dirigenziale vengono intenzionalmente tenute nascoste ai subordinati, si sviluppa così un canale informale di informazioni. Alcuni individui che secondo la mappa organizzativa dovrebbero essere sclusi da certe informazioni, di fatto ne vengono a conoscenza.




In realtà la struttura formale dell'organizzazione può offrire soltanto uno schema generale in cui le persone svolgono spesso i loro ruoli burocratici in modi estremamente personali. In pratica sono gli individui che creano l'organizzazione, essi sono l'organizzazione. Per questo motivo alcuni sociologi mettono in rilievo che la burocrazia è una realtà negoziata.

Seguire il tortuoso percorso dei canali ufficiali è molto irritante ed è per questo che i membri di una burocrazia imparano presto a cortocircuitare il processo attraverso contatti informali con funzionari amici in qualunque posizione gerarchica si vengano a trovare.

Il fatto che la burocrazia sia idealmente efficiente per via delle regole progettate per risolvere casi e problemi tipici, purtroppo non significa che sia attrezzata per trattare casi insoliti. Quando si presenta un caso che non ha precedenti e non è previsto dalle regole, la burocrazia si inceppa e il caso problematico rischia di circolare da un tavolo all'altro a volte anche per degli anni prima che finalmente arrivi a qualcuno di autorevole che abbia la voglia di prendere decisioni a riguardo.




La cieca osservanza delle regole e delle procedure può dare luogo ad un fenomeno che Thor Veblen definì in modo caustico "incapacità coltivata" e cioè incapacità di trovare risposte nuove e ricche di immaginazione. Questo è l'eterno problema davanti al quale si trovano le organizzazioni : trovare il modo di bilanciare il bisogno di stabilità e di prevedibilità con il fondamentale requisito di rispondere efficacemente ai continui cambiamenti dell'ambiente sociale e/o addirittura prevenirlo. Nei casi di calamità naturali ad esempio, basterebbe che i vertici si tenessero continuamente in contatto con gli scienziati dei vari campi scientifici per poter prevedere e quindi pensare a come fronteggiare vari ed eventuali rischi tenendo ben presente che in mezzo a questi ci finisce molta parte della popolazione.
Anche il sistema formale delle comunicazioni interne alla burocrazia presenta delle disfunzioni poichè in teoria, queste fluiscono dall'alto verso il basso e viceversa attraverso appositi canali subendo distorsioni al livello intermedio durante questo processo .




La caratteristica evidente che caratterizzala vita contemporanea è che essa è dominata da grandi organizzazioni complesse e formali e che la nostra capacità di organizzare migliaia e anche milioni di uomini per raggiungere obiettivi di larga scala (economici, politici, militari ) non è aggiornata al passo coi tempi e l'esempio èquello della attuale calamità  appena occorsa . Tutto questo è accaduto per l'ignoranza dei vertici di questa macchina burocratica! Per fortuna esistono uomini di buona volontà!!


MLince Grassi






martedì 17 gennaio 2017

Ci ha lasciati l'undicesimo uomo che camminò sul suolo lunare, il Comandante Gene Cernan



Gene Cernan, un astronauta della NASA  fu l'ultimo uomo a mettere piede sulla Luna, è morto Lunedi, la NASA lo ha annunciato con un tweet. Aveva 82 anni.

I dettagli della sua morte  non sono stati resi noti.

Cernan fu il comandante dell' Apollo 17 nel dicembre del 1972 - l'ultima missione lunare e uno dei voli finali di Apollo. Quando Cernan uscì dal modulo lunare "Challenger" è diventato l' 11 °persona a camminare sulla luna. Dopo di lui il pilota Jack Schmitt. Il Comandante, Cernan fu l'ultimo a rientrare nel modulo lunare, designandolo come l'ultima persona a camminare sulla superficie lunare.

Le sue parole non sono diventate famose come la prima frase di Neil Armstrong parlando dalla luna, però, l'addio finale di Cernan alla luna era altrettanto poetico.

"... La Sfida dell'America di oggi, ha forgiato il destino dell'uomo del domani", disse Cernan. "E come si lascia la Luna a Taurus Littrow ( una valle lunare servita come luogo di atterraggio ) , la lasciamo come siamo venuti e, se Dio vorrà,   torneremo, in pace e  speranza per tutta l'umanità. Buona fortuna  all'equipaggio dell' Apollo 17."

Nel documentario 2007 "L'ombra della Luna," Cernan ha parlato dell'Epifania che ha vissuto mentre era in piedi sulla desolata ma maestosa supeficie lunare.

"Deve esserci Qualcuno piu grande di te e di me, c'è troppa logica, è troppo bella per accadere per caso", ha detto Cernan. "Ci deve essere qualcuno più grande di te e più grande di me ... e lo dico in senso spirituale, non in senso religioso, ci deve essere un Creatore dell'Universo che sta al di sopra delle religioni che noi stessi creiamo per governare le nostre vite. "

Cernan aveva precedentemente servito come il pilota modulo lunare su Apollo 10 ed era un pilota sulla missione Gemini IX.

Sul volo dell'Apollo 10, Cernan e il comandante Tom Stafford hanno volato  su otto miglia della superficie lunare. La missione di maggio  servì come "prova generale" per la storica missione Apollo 11 , dei  due mesi successivi.

Cernan fu il secondo americano a camminare nello spazio della missione Gemini IX nel 1966.

Cernan ha registrato 566 ore e 15 minuti nello spazio, di cui 73 ore sono state spese sulla superficie della luna, secondo la NASA.

Nato a Chicago nel 1934, Cernan ha ricevuto una laurea in Ingegneria Elettrica a Purdue e un Master in Scienza areonautica e  Ingegneria aeronautica nella US Naval Postgraduate School. Fu un capitano della Marina, e fu selezionato nel terzo gruppo di astronauti della NASA nel 1963.

Si ritirò dalla NASA e dalla Marina nel 1976.

La morte di Cernan lascia sei astronauti  che hanno camminato sulla luna.


Cieli Blu Comandante!
MLince Grassi


La Battaglia di SOMME 1916 – Il grande macello




Il primo giorno della battaglia della Somme fu (e rimane a tutt’oggi) il giorno più sanguinoso nella storia dei conflitti del Regno Unito.
L’attacco iniziato alle 7.30 di quel mattino costò infatti ben 20.000 morti e 40.000 feriti. Gli elenchi delle perdite riempirono pagine e pagine dei quotidiani. Per di più, a causa del particolare sistema di reclutamento per gruppi omogenei (il cosiddetto «Pal system») con il quale erano stati formati molti dei reggimenti mandati all’assalto, alcuni quartieri e distretti del nord industriale persero una parte molto rilevante della popolazione maschile in età attiva.
 Ma le ripercussioni furono molto più ampie. La Somme fu una ferita devastante per l’intera Inghilterra e si fece sentire in ogni angolo del Paese, a tutti i livelli della società. 
Nella battaglia rimasero uccisi ragazzi dei quartieri più poveri dell’East End di Londra, ma anche il figlio del primo ministro, Raymond Asquith, ufficiale delle Grenadier Guards.
 Lo scopo dell’attacco era quello di sfondare la linea delle trincee tedesche nei pressi del centro del fronte occidentale, per ottenere una netta vittoria sulle forze che avevano invaso la Francia. 
La battaglia aveva inoltre lo scopo di scoraggiare i tedeschi dalla prosecuzione della grande offensiva scatenata contro i francesi a Verdun, allora in pieno svolgimento. L’offensiva della Somme era una tra le diverse offensive che gli alleati avevano concordato di sferrare il dicembre precedente. Infatti, durante la battaglia della Somme, i russi attaccarono in Ucraina (la famosa offensiva di Brusilov) e gli italiani scatenarono l’ennesimo assalto sulla linea del fiume Isonzo. I francesi, tenacemente aggrappati alle difese di Verdun, furono comunque in grado di inviare truppe sufficienti a prendere parte all’offensiva sulla Somme. Il loro contributo fu un attacco a sud del settore britannico, vicino a Peronne, proprio dove le linee tenute dai due eserciti alleati si univano. 
Nel 1916 il Regno Unito aveva ormai schierato un milione di uomini in Francia estendendo progressivamente la lunghezza del fronte coperto dalle proprie unità. Questo incremento della forza dell’esercito fu reso possibile durante il 1915 dall’invio in Francia dei battaglioni territoriali, poi dalla formazione di nuove divisioni di volontari o «divisioni di Kitchener», così definite dal nome del ministro della guerra britannico che ne aveva fortemente caldeggiato la costituzione.
 Ai primi di settembre del 1914 Lord Kitchener si era infatti rivolto alla popolazione chiedendo volontari in scaglioni di 100.000 uomini.
 Nel 1916 i primi cinque di questi scaglioni formarono circa 30 divisioni, che andarono a unirsi alle 10 di regolari e alle 14 dei territoriali. Determinato a raccogliere senza indugio le truppe per il suo «New Army», Lord Kitchener promise che i gruppi di volontari  raccolti da una sede di reclutamento sarebbero stati assegnati allo stesso reparto. Il risultato furono quelli che vennero rapidamente definiti dalla stampa come «pal battalion» (battaglioni di amici), spesso formati da uomini di una stessa fabbrica o impresa che decidevano di offrirsi volontari in massa. Per fare un esempio, i quattro battaglioni di Liverpool provenivano principalmente dal personale degli uffici delle grandi compagnie di navigazione transatlantiche, mentre i quattro battaglioni di Manchester provenivano dagli impiegati delle aziende tessili. Altri battaglioni di questo tipo vennero formati dagli abitanti di specifiche cittadine. Il battaglione Accrington Pals, per esempio, formava l’Undicesimo East Lancs; Leeds fu la base di reclutamento del Quindicesimo West Yorkshire e Hull quella del Dodicesimo East Yorkshire (gli Hull Sportsmen).
 La Trentunesima divisione era composta esclusivamente di «battaglioni di amici», quattro dei quali provenienti da Hull. Il principio del reclutamento di volontari in comunità ristrette produsse anche il Glasgow Tramways Battalion (il battaglione dei tranvieri di Glasgow) e il Gateshead Commercials, formato dai commessi dei negozi della città scozzese. Il Decimo Lincolns era anche detto Grimsby Chums (i ragazzi di Grimsby). In effetti, ci furono battaglioni di questo tipo reclutati anche a Londra e nel sudest, ma questo tipo di reclutamento fu un fenomeno particolarmente diffuso soprattutto nelle città industriali del nord. 
Questi battaglioni erano solitamente interamente composti da soldati reclutati nei ceti più bassi della società inglese e quindi non avevano propri ufficiali. Questo portò alla costituzione di reparti che vedevano la stravagante unione di falangi di operai del nord e ufficiali comandanti provenienti dalle più prestigiose scuole private del sud. Peraltro, proprio il comando esercitato nei battaglioni del New Army contribuì a definire il clima sociale del Regno Unito negli anni successivi al conflitto. Molti di quegli ufficiali furono infatti così turbati dalle condizioni di vita testimoniate dai propri soldati provenienti dalla classe operaia da decidere di impegnarsi a favore di importanti riforme politiche e sociali.
 I volontari voluti da Kitchener vennero in stragrande maggioranza assegnati a reparti di fanteria, ma l’esercito che attendeva di attaccare sulla Somme il primo luglio del 1916 disponeva anche di una forza di artiglieria davvero imponente. A questa forza era stato assegnato l’ambizioso compito di assicurare il successo dell’offensiva distruggendo le trincee tedesche e i loro occupanti. Una settimana prima dell’inizio dell’offensiva vera e propria venne avviato un bombardamento incessante delle linee nemiche. L’artiglieria scagliò un milione di granate ad alto potenziale sulle linee tedesche. Il bombardamento fu così prolungato e i suoi effetti apparenti furono così sbalorditivi da convincere gli ufficiali a informare i propri reparti, in perfetta buona fede, che l’attraversamento della terra di nessuno sarebbe avvenuto senza incontrare nessuna resistenza dalle linee tedesche.
 La realtà era però ben diversa. Il bombardamento aveva in effetti prodotto danni enormi, ma largamente superficiali. I tedeschi avevano avuto a disposizione un anno intero per preparare le proprie difese e avevano scavato rifugi di enormi dimensioni a grande profondità nel sottosuolo calcareo della Somme. Ben protetti da questi rifugi, attesero pazientemente la fine del bombardamento preliminare. Inoltre, il bombardamento fallì anche nel secondo compito cruciale che gli era stato assegnato, ovvero la distruzione delle distese di filo spinato poste a protezione delle trincee tedesche. Per di più, l’artiglieria britannica non riuscì neppure a ridurre al silenzio la sua controparte tedesca.
 I cannoni tedeschi ancora attivi aprirono il fuoco con risultati devastanti non appena la fanteria britannica iniziò ad attraversare la terra di nessuno. Alle 7.20 del mattino del primo luglio, il lungo bombardamento preliminare terminò, avvisando la fanteria in attesa dell’imminenza dell’ora zero. Alle 7.25, la fanteria lasciò le proprie trincee e uscì allo scoperto nella terra di nessuno. Alle 7.30, al suono dei fischietti degli ufficiali, la fanteria iniziò ad avanzare, oppressa dal peso del proprio equipaggiamento. Molti portavano con sé 30 kg di munizioni, razioni alimentari, utensili per il trinceramento e bobine di filo spinato. Non appena i tedeschi videro che le linee di attacco inglesi erano in movimento, si affrettarono a raggiungere i parapetti delle trincee e ad installare in tutta fretta le mitragliatrici.
 Nei primi minuti, la fanteria britannica che avanzava in lunghe file compatte venne falciata senza pietà dal fuoco nemico. Qua e là, dove il filo spinato era stato abbattuto e le trincee spazzate via, i britannici riuscirono a penetrare nelle linee tedesche e a catturare posizioni e prigionieri. In particolare, si registrarono grossi successi al centro del campo di battaglia, ovvero a nord di Thiepval, proprio dove oggi si trova l’arco del monumento ai caduti di Lutyens.
 L’avanzata si esaurì solo perché gli uomini che dovevano effettuarla erano morti o così sgomenti dalle perdite subite da non poter avanzare oltre. Alcuni battaglioni avevano semplicemente cessato di esistere. Entro mezzogiorno l’avanzata si era ormai arrestata quasi ovunque, anche se lo sforzo offensivo si mantenne elevato per l’intera giornata. L’alto comando, che aveva perso contatto con le prime ondate della fanteria non appena queste avevano lasciato le loro trincee, non aveva alcuna idea di quello che era accaduto. 
Il generale Douglas Haig, comandante della forza di spedizione britannica, era ancora persuaso di poter continuare l’offensiva il giorno seguente. Nessuno all’alto comando aveva la minima idea delle perdite, dato che il numero dei feriti era così elevato che superava la possibilità dei servizi medici di trasportarli nelle retrovie. 
All’epoca, erano necessari quattro uomini per ogni barella e il viaggio verso la più vicina postazione di pronto soccorso poteva durare diverse ore. Oggi si comincia a considerare che tra i 20.000 morti del primo di luglio molti siano in realtà feriti che spirarono prima di poter essere soccorsi. Gli orrori del primo di luglio misero fine a ogni reale possibilità di vittoria della grande offensiva britannica. Solo nella parte meridionale del campo di battaglia, nel settore dei più esperti francesi, si erano ottenuti reali risultati. Il generale Haig era comunque determinato a proseguire le operazioni e durante il resto di luglio e agosto gettò truppe fresche sul campo di battaglia per tentare di sfondare la tenace resistenza dei tedeschi.
 Nelle truppe fresche erano inclusi reparti australiani e canadesi. Si registrò una modesta avanzata ma la cosiddetta «fase di attrito» della battaglia non fu ben coordinata. A metà di settembre, tuttavia, si produsse uno sforzo più mirato che riuscì a conquistare parte delle alture che dominavano il lato orientale del campo di battaglia. Questo rinnovato sforzo offensivo britannico fu coadiuvato dall’esordio assoluto di una nuova arma: il carro armato. 
Questi primi modelli di tank erano piuttosto fragili e tendevano a guastarsi sin troppo spesso, ma nelle occasioni in cui si riuscì a conservarne l’efficienza gettarono lo scompiglio tra i difensori tedeschi e consentirono alla fanteria britannica di catturare intere sezioni delle trincee nemiche con perdite comparativamente lievi.
 Haig non ammise la fine della battaglia della Somme sino alla metà di novembre. Per quella data, i britannici avevano ottenuto una penetrazione di circa 11 chilometri. Questa modesta avanzata era però costata loro circa 420.000 perdite fra morti, feriti e dispersi; i francesi avevano subito perdite per più di 200.000 uomini.
 È comunque un errore concludere che la battaglia della Somme sia stata del tutto inutile. I tedeschi persero mezzo milione di uomini e i loro comandanti hanno sempre dichiarato che le perdite subite nella battaglia della Somme produssero danni irreparabili nella macchina militare tedesca. La Somme fu la fine del vecchio esercito tedesco prebellico che da quel momento in poi perse definitivamente ogni residuo vantaggio qualitativo.
 Oggi il panorama della Somme non porta più alcun segno degli scontri che lo sconvolsero novanta anni fa. I boschi spazzati via dai bombardamenti ora sono nuovamente rigogliosi e le linee delle trincee sono coperte da un lussureggiante manto erboso.
 La regione ha interamente recuperato la sua straordinaria bellezza paesaggistica e la produttività dei suoi campi. Il solo segno esteriore della battaglia, oltre alle dozzine di camposanti, è il fatto che nessun edificio della zona è precedente al 1920.

Fonte Storia in rete

MLince Grassi






lunedì 16 gennaio 2017

La battaglia contro l'Isis parte dalla Brianza: Foffano a capo di un gruppo nazionale di lavoro



BIASSONO - Grande esperto di intelligence e di terrorismo internazionale, ora è stato chiamato a un importante incarico. Il vimercatese Andrea Foffano, è ora responsabile del coordinamento nazionale del gruppo di lavoro sulla sicurezza del “Movimento Energie PER l’Italia” guidato da Stefano Parisi


La sicurezza è il suo pane quotidiano: Isis, terrorismo, intelligence, ma anche la giurisprudenza italiana e internazionale che si occupa dell’argomento, oltre ad esperienze personali nei maggiori corpi del settore.


E oggi mette le sue conoscenze e competenze a servizio dell’Italia nella certezza che, con la passione e la professionalità del suo team, riuscirà a fornire un contributo importante per la sicurezza del Belpaese.


Un incarico prestigioso quello che da un mese ha assunto Andrea Foffano, vimercatese, 33 anni, segretario della sezione biassonese di Forza Italia, paracadutista e autore del saggio “L’Isis”.


A dicembre è diventato responsabile del coordinamento nazionale del gruppo di lavoro sulla sicurezza messo in piedi dal “Movimento Energie PER l’Italia” che, guidato da Stefano Parisi, accoglie esponenti di tutto il centro destra accomunati da un'unica ideologia liberale.


Un grande hub dove confluiscono, non tanto forze politiche, quanto invece professionalità diverse con l’obiettivo di sviluppare proposte e programmi su grandi argomenti di interesse nazionale e internazionale, dalla politica estera alla giustizia, dallo sport alla cultura.


Al brianzolo è stato affidato il coordinamento del delicatissimo gruppo sulla sicurezza. “Con il supporto di accademici e di professionisti di fama internazionale stiamo redigendo un grande libro bianco sul tema della sicurezza – spiega – Idee e proposte da sottoporre poi al governo”.


All’ordine del giorno, naturalmente, il tema del terrorismo. “L’allerta in questo momento è massima – continua Foffano – Il fatto che il killer di Berlino sia stato ucciso alle porte di casa nostra ci deve far riflettere : la cosiddetta "cintura milanese" e altre zone simili del Paese sono oggi terreno fertile per il transito dei terroristi e per l'attivita di queste cellule. Bisogna lavorare soprattutto sulla prevenzione, sull'intelligence e la raccolta delle informazioni, in strettissima collaborazione con le forze dell’ordine, con l’obiettivo di scoprire e smantellare queste reti”.


Per Andrea Foffano un ruolo importante lo giocano i singoli cittadini, sentinelle di quello che potrebbe essere un possibile pericolo. “Senza scatenare il panico o fomentare inutili allarmismi – precisa – bisogna creare quella sorta “intelligence collettiva”, quella rete civica in grado segnalare alle forze dell’ordine qualsiasi anomalia, anche quella che il semplice Cittadino può ritrovarsi accanto a casa propria: dalla valigia abbandonata davanti a luoghi affollati, sino ad arrivare al conoscente che improvvisamente cambia radicalmente modo di vivere, manifestando tutto il proprio disprezzo per la società che lo circonda. La radicalizzazione di una persona è un processo che può essere fermato, se preso in tempo”.


Ma la sicurezza non è solo quella contro i terroristi di matrice islamica. “Ci stiamo occupando anche di sicurezza economica – continua - della repressione dei reati finanziari che hanno messo in ginocchio il nostro Paese, delle possibili modalità di intervento e di prevenzione”.

Grande attenzione anche alla sicurezza in tema di politica estera. “Stiamo lavorando anche con alcuni gruppi accademici nazionali e internazionali per individuare formule e idee per bloccare la tratta dei migranti nel Mediterraneo – continua – Fornendo un aiuto concreto che li aiuti a migliorare l'economia del loro Paese. E in Italia ribadiamo l’applicazione delle leggi per la gestione degli immigrati irregolari e pericolosi per il bene di tutta la comunità”.

Tutto questo sarà possibile solo se ci sarà la partecipazione e l’impegno di tutti. “E soprattutto la valorizzazione delle forze dell’ordine – ribadisce – Implementando anche l’utilizzo delle nuove tecnologie che sono fondamentali anche per i nostri carabinieri e poliziotti”.
Foffano non si tira indietro. È stato uno dei pochi a raccontare i retroscena politici ed economici che ci sono dietro il movimento dell’Isis, conosce bene l'intelligence e la sicurezza, ma anche la paura di tanti italiani.

E dopo aver pubblicato sul suo profilo facebook l’immagine delle vittime della strage di Capodanno a Istanbul ricorda, non solo ai suoi follower, che non si deve avere paura di guardare foto come queste perché, come ricorda il ricorda il fotografo americano Kenneth Jarecke, se abbiamo il coraggio di fare una guerra, dovremmo avere il coraggio di guardare anche le foto che la ritraggono.


Fonte B.Api.

MLince Grassi




domenica 15 gennaio 2017

Un terzo dei siti naturali UNESCO è in pericolo



Un terzo dei siti naturali UNESCO è in pericolo



Dal parco nazionale di Virunga in Congo, dove resistono i gorilla di montagna, a quello del Lago Malawi, fra bacini lacustri più belli al mondo, sino ad arrivare  alla riserva Selous in Tanzania, tra i più grandi parchi faunistici esistenti ecco alcuni tra i siti naturali patrimonio dell’umanità attualmente minacciati dalla presenza umana.

In totale si tratta del 31% dei siti naturali Unesco, di barriere coralline, parchi nazionali e riserve: ognuno a suo modo, costretto a fare i conti con la ricerca di petrolio, gas e minerali.  Il WWF attraverso un rapporto che evidenzia come il dato risulti sono sempre più in crescita ha lanciato l'allarme.

I siti naturali considerati Patrimonio dell’umanità coprono meno dell’1% della superficie del nostro Pianeta, eppure hanno un valore inestimabile per la conservazione delle specie e per la ricchezza dei loro paesaggi. La protezione di queste aree è fondamentale non solo per gli aspetti economici in quanto garantiscono il turismo, posti di lavoro, promozione e diffusione della cultura spesso, a fronte di contesti di grande povertà – ma anche per far in modo che alcuni tra gli animali più rari del Pianeta non scompaiano per sempre: non soltanto i gorilla di montagna, ma anche i cetacei, le tartarughe marine, gli elefanti africani o i leopardi delle nevi sempre più vulnerabili negli altopiani e nelle vallate dell’Asia centrale


Il problema interessa in particolar modo le aree localizzate in Asia  e in America Latina e caraibica   mentre in Europa e  nel Nord America sono minacciati  il 10% dei siti: tra questi il parco nazionale del Coto Donana nell’estuario del fiume Guadalquivir nella Spagna meridionale, una delle più importanti zone umide del Vecchio Continente a motivo della biodiversità che ospita.

MLince Grassi

Una breve storia dei Granatieri di Sardegna


breve storia dei Granatieri di Sardegna

È il corpo militare più antico d’Italia; discende dal reggimento delle guardie armate di granate a mano fondato da Carlo Emanuele II nel 1659. I granatieri veri e propri furono istituiti da Vittorio Amedeo II e sciolti nel 1798. All’atto della costituzione dell’esercito piemontese nel 1815, Vittorio Emanuele I ricostituì il reggimento, che nel 1852 assunse il nome di granatieri di Sardegna.
Successivamente furono costituite la brigata dei granatieri di Lombardia, di Napoli e di Toscana. Nel settembre 1943, la brigata difese Roma contro i Tedeschi a Porta S. Paolo e dopo l’armistizio fu una delle prime unità dell’Esercito Italiano a essere ricostituita.
I Granatieri di Sardegna sono un reparto storicoe glorioso. E' il più antico corpo europeo e prese parte a tutti i conflitti del Piemonte e del Regno d'Italia . Anche nella Grande guerra seppe dare altissima prova dimostrando coraggio e valore : impiegato nei settori più difficili del fronte, in località leggendarie quali Monfalcone, Carso, Oslavia, Monte Cengio, Lenzuolo Bianco, Flambro e alle foci del Piave, a guerra finita marciò su Fiume con Gabriele D'Annunzio”. Venneri definiti dagli austriaci come “i migliori soldati italiani”.
I Granatieri di Sardegna durante la Guerra 1915 – 1918”, ebbero nel corso del conflitto il maggior numero di massime decorazioni al valore, individuali.

La Grande Guerra fu un'importantissima parte della storia della nostra Patria, che tutta unita impegnò le sue forze nella lunga lotta. Poi, quando fu duramente colpita a Caporetto, fu capace di risorgere con una rinnovata energia per raggiungere la decisiva vittoria e portare così le bandiere italiane sino ai suoi confini . Durante quella durissima lotta durata quattro anni , la Brigata Granatieri di Sardegna, coi suoi due eroici reggimenti, scrisse così le più belle e alte pagine della sua storia .
Essa combattè sin dai primi giorni della guerra nelle martoriate alture del Carso, contro le preparate posizioni austriache difese dal fuoco incessante della artiglieria e protette da reticolati”.

Fra le numerose eroiche storie di eroismo di questo glorioso Reparto ne spicca una, che simbolicamente le rappresenta tutte, quella del Granatiere Alfonso Samoggia, decorato con medaglia d'oro al valore militare: Portaordini che “In una cruenta azione , disimpegnava instancabilmente il proprio servizio, sia recando ordini fra le linee più avanzate, sia rifornendo le munizioni sulla linea del fuoco, ed attraversava all'uopo più volte, e da solo, una zona di cresta scoperta e furiosamente battuta dal tiro avversario. In una successiva circostanza, in cui un attacco estremamente violento di soverchianti forze nemiche seminava la morte fra le nostre truppe e inevitabilmente le serrava sempre più da presso, intuendo l'imminente pericolo, di propria iniziativa, sotto il grandinare dei proiettili, correva con impareggiabile serenità a chiedere rinforzi. Deluso nella propria speranza per la totale mancanza di truppe disponibili, nel tornare sopra i suoi passi, cadeva colpito a morte nel momento in cui giungeva presso il proprio ufficiale. Dando allora fulgida prova dei più eletti sentimenti, per infondere a questo nuova fiducia, contrariamente al vero, gli gridava fra gli spasimi: Tenente, i rinforzi arriveranno. Resista fino alla morte”. Questa la motivazione per cui gli venne conferita l'onorificenza .
Il suo ufficiale , il sottotenente Giuseppe Verdecchia e gli altri granatieri così rincuorati, poterono tenere la posizione. Purtroppo invece Samoggia non ce la fece e morì in un ospedale da campo. Fu sepolto al ponte Val di Tora, sul confine. Da allora la sua storia entrò nell'epica dei Granatieri ed in sua memoria venne istituito il distintivo di Granatiere Portaordini.



Marilina Lince Grassi





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martedì 10 gennaio 2017

L'incazzata nera Mary Pace e me



 Dal momento in cui ho avuto l'onore di conoscere Mary Pace, ex agente segreto e attualmente scrittrice di successo di romanzi e  giornalista esperta in tattica strategica militare e di intelligence, ne sono rimasta assolutamente affascinata anche per la sua personalità molto decisa.Mary è una donna che sa andare oltre le parole perchè riesce a concretizzare immediatamente le situazioni che  le vengono prospettate . La prima volta che ci sentimmo mi disse << parlami di te Marilina >> .

E' una grande ascoltatrice che lascia intuire che dietro al silenzio del suo ascolto, già visualizza chiaramente la situazione che  le si sta accennando in modo semplice come durante il nostro  primo approccio.
 E' una donna che attraverso le sue parole e il tono della  voce ( un effetto a cui io sono molto sensibile per natura e formazione ) fermo e dolce  , lascia intuire  di essere  proiettata verso il prossimo e soprattutto verso l' Italia che  tanto ama.

Così ho voluto leggere le prefazioni del suo libro: "Incazzata nera"  edito da Book Sprint, a cura del Generale Riccardo Sindoca e del Dott. Claudio Tedeschi Direttore de IL BORGHESE e d'accordo con lei le ho  riportate in questo articolo perchè possano essere una proposta e un'anticipazione di lettura per tutti gli appassionati di questo genere letterario  che volessero approfondirne l'argomento.




Così scrive il Generale Sindoca :

Che dire …mai avrei immaginato di poter scrivere una prefazione per un opera letteraria di una mia “collega “ , l’agente Mary Pace ; si, la tanto dolce quanto acida e pungente , agente “Mary Pace” . Molti sanno “chi è”, altri ancora se lo domandano . Passiamo ai fatti e ben al di là delle singole letture dei suoi libri, tutti comunque all’insegna non tanto del romanzo, fine a se stesso, bensì del vero e proprio “dossier” ovvero della meticolosa ricostruzione , storico, politico documentale, dei più cruenti “eventi” che hanno scosso e significato la storia della nostra amata patria durante , quella che i più , amano definire la prima repubblica , fino ai giorni d’oggi. Di certo non c’è mai da annoiarsi , leggerLa significa “incontrare” personaggi che vanno da Priebke a Giannettini , Gheddafi ed ultimamente anche Bin Laden: non mi stupirei se un giorno da Lei venisse perfino riscritta una “pagina” su lady D. Mary è stata un “vanto” per il SID , quando ai tempi “operò” sotto copertura , infiltrandosi nel PCI e spingendosi fino in Libia. Si occupò di ostacolare la fuga dall’Italia dell’ex SS Erich Priebke e non solo…un “fiore all’occhiello “ per il Generale De Lorenzo. Non solo , bella e seducente ma anche “irreverente” avverso “un etica dogmatica propria di certi apparati” e questo Le causò non pochi problemi quale 007 in carriera…non si risparmiò mai di “dire far valere le proprie ragioni ” , mia moglie Sonia ama dire di Lei : “ Mary un calcio in culo se lo tiene , ma una parola no e l’ultima deve essere sempre la Sua …” Mary Pace , da sempre ha avuto la vocazione più di “agente per la libertà” che per il “patto atlantico” fine a se stesso o per come “la politica “ troppe volte ha voluto stravolgerne la genesi storica . Ha fatto della conoscenza un patrimonio pubblico e mai un atto di “forza propria e privata” e ciò ovviamente tanto l’ha resa nota fra gli operatori Mondiali dei vari servizi di Intelligence che fra il suo amato pubblico di lettori. Ciociara e fiera Italiana , fu Lei a “sbattere sul muso “ allo Zio Sam che perfino Giannettini ex agente del Sid “noto quale agente Z” negli anni sessanta, insegno a “mamma C.I.A” lo “sporco lavoro” di intelligence , inteso quale guerriglia, esfiltrazione e controguerriglia , cosi come è stata l’unica a trascinare la CIA fino davanti alla Magistratura per rivendicare la taglia per la cattura dell’ex agente Osama Bin Laden, divenuto poi il famigerato capo carismatico di Al Qade : eh si, cari lettori, proprio Lei , un “agente per la libertà italiano” confidò già nel 2003’ alle autorità italiane preposte , l’ufficio DIGOS della Polizia di Stato , dove poter andare a “ricercare” Osama Bin Laden ed oggi, giustamente, supportata dall’amico ed avvocato Carlo Taormina ha già citato Viminale ed Agenzia a rispondere nel merito , nelle sedi giudiziarie costituite. Fù proprio grazie alla collaborazione “stretta” che Mary ebbe con Guido Giannettini che le permise di avere l’informazione utile alla cattura del Califfo del Terrore già nel 2003. Amo di Lei , la Sua lealtà verso la Patria, il Suo “senso dell’onore” di Dio e della famiglia. Il Suo “modo” di essere madre e nonna e di ciò che Lei, “agente per la libertà” , potrà tramandare a futura memoria in una rivisitazione meticolosa di eventi storici, balzati alla cronaca però , come sempre, quasi in via esclusiva dalle “penne e dalle macchine da scrivere dei vincitori …” e non proprio da soli “leali cronisti “ . Molti la tacciano per “fascista” ma Chi la conosce bene sa che Mary è una conservatrice molto più “ribelle e rivoluzionaria” semmai che fascista , fine a se stessa come banale definizione. “ Incazzata nera” di cui non voglio preannunciarvi nulla se non che il titolo che già di per sé vuol essere provocatorio è l’ennesimo “urlo” volto a rompere l’ennesimo muro di un silenzio che nemmeno la “caduta” del muro di Berlino ha saputo e voluto infrangere…ma Lei sì. Quanto potrei scrivere , troppo e vi tedierei solo , buona lettura
Gen C.A. r.o. CO.S.INT

Riccardo Sindoca Esperto in I.S.P.E.G Nato Antiterrorismo

 Le parole del Dott. Claudio Tedeschi invece sono :
Da molti anni Mary Pace collabora al «Borghese». Quando la conobbi, mi resi conto che dietro quello scricciolo di donna si nascondeva una persona dal carattere tosto. Nel corso di questi anni, ci siamo sempre intesi sugli argomenti da trattare, anche se molte volte abbiamo avuto aspre discussioni sulle teorie complottiste dietro i grandi avvenimenti che hanno contraddistinto questi ultimi sedici anni.
In questi anni, Mary Pace mi ha dato alcune delle sue «fatiche» librarie, che ho letto con interesse. Infatti, Mary Pace ha quello stile che mi ha sempre affascinato: concetti seri, riscontri precisi ma espressi con un linguaggio da «romanzo popolare». In questo modo, i testi sono a disposizione sia degli addetti ai lavori (le cosiddette «barbe finte»), sia delle persone normali, che vengono a sapere notizie e fatti dai giornali. Gli stessi giornali che, pagati e gestiti dai «controllori del mondo», ci propinano quelle «false verità» necessarie a «gestire» l’opinione pubblica.
Quello che è singolare ma indicativo, sta nel filo conduttore che unisce i vari capitoli: la lotta all’imperialismo americano, così come si è sviluppato dopo il 1945. Imperialismo alimentato dalle continue «piccole guerre» contro il nemico di sempre: il comunismo. Dalla Corea al Vietnam, da Grenada all’Afghanistan, il tutto all’interno della «guerra fredda» contro l’Unione Sovietica.
Tutto sembra finire nel 1989, crolla il Muro di Berlino, il «mondo libero» esulta. L’Urss è implosa sotto la pressione economica che la doppia presidenza Reagan aveva attuato contro Mosca, attraverso il crescendo del progetto SDI (Strategic Defense Initiative), il cosiddetto «scudo stellare». Con la fine della «guerra fredda», però, finisce anche l’economia di guerra che aveva permesso all’America imperialista di dominare il mondo. Alla fine il vero vincitore è il capitalismo finanziario, non certo la politica di libertà. L’America per continuare a sopravvivere, tuttavia, ha bisogno di un nemico. Ecco nascere il pericolo «Islam». Quello stesso Islam che Washington aveva alimentato e appoggiato nella lotta contro l’Urss in Afghanistan. I Talebani erano finanziati e armati dalla Cia, salvo poi girare i missili Stingerda contro gli elicotteri russi Mil Mi-24Hind ai velivoli americani nel corso delle due guerre in Iraq. Guerre ambedue condotte dalla famiglia Bush, a conferma del carattere «imperiale» del potere americano.
Perché l’Islam? Perché i principali difensori della libertà del popolo medio orientale erano uomini considerati «terroristi»: Mu'ammar Gheddafi, Saddam Hussein e Bashar al-Assad. Tutti fieramente nazionalisti, difensori dei loro popoli, sicuramente i diretti eredi di GamalAbdel-Nasser, vero capo e leader dell’Egitto repubblicano.
Il primo a morire fu Hussein, impiccato dopo una Norimberga «politicamente corretta». Sua colpa aver cercato di legare il prezzo del petrolio non più al dollaro ma all’euro. Le compagnie petrolifere gliela fecero pagare (non dimentichiamo che i Bush sono petrolieri). Poi toccò a Gheddafi, ucciso in diretta: anche lui aveva cercato di staccare il prezzo del petrolio dal dollaro. La mini-guerra contro la Libia, condotta dai francesi, fu voluta e sponsorizzata dalla francese Total che mirava al controllo del petrolio libico, sottraendolo al controllo pluridecennale dell’Eni italiana.
Contro Assad l’America ha sbattuto le corna. Convinta di ripetere il copione libico, ha creato e messo in campo l’Isis, così come fece con i Talebani in Afghanistan. Aiutata in questo dai soldi e dalla logistica saudita e qatariana. Ma Assad ha imparato la lezione dal padre e ha saputo reggere lo scontro, aiutato in questo da colui che sicuramente oggi è il vero «nemico mortale» del capitalismo finanziario anglo-sassone: Vladimir Putin.
Tutto questo per dire che, quanto Mary Pace espone nel suo libro, rappresenta una chiave di lettura «politicamente scorretta» della politica mondiale di quello che è l’Occidente capitalista, non sicuramente il nostro, né sicuramente di Mary Pace.
Un libro che si legge in un attimo per quanto avvincente, pieno di dati e forse alcuni potranno non condividere alcune ipotesi e conclusioni su certi avvenimenti, ma le parole di Mary Pace le rendono credibili.Quello che conta è capire che per andare avanti il vero nemico del «mondo libero» non è più ad Oriente, ma anzi che dalla «Terza Roma» verrà quel vento che soffierà via le «false verità» dei banchieri e dei loro camerieri politici.
Tutto questo ad onore di chi ha sempre lottato per la verità. A Mary Pace.
Dott. Claudio Tedeschi Direttore de IL BORGHESE.



-E' ormai passato molto tempo dalla prima volta che conobbi Mary e ormai le nostre conversazioni sono aumentate nel corso del tempo, ci piace dialogare a lungo raccontandoci le nostre cose con una confidenza ormai quasi parentale e ho sempre tanto da imparare dai suoi racconti e tante cose da scoprire.
Che aggiungere d'altro? Che la feci  ridere la prima volta quando le  chiesi : << Ma mi devo mettere sull' attententi dinnanzi a te? >> E lei carinamente mi  rispose : << Ci mancherebbe cara >>.

di MLince Grassi





mercoledì 4 gennaio 2017

Perdonare e dimenticare è possibile?

Prendendo spunto da un’articolo che lessi qualche anno fa scritto da un sacerdote e fecendo una riflessione sul ciò che lui sosteneva cioè che bisogna chiedere perdono e perdonare per stare in pace con Dio per perdonare noi stessi delle nostre cadute e che si dice anche che non c'è vero perdono se non si dimentica, io penso che sia impossibile farlo davvero. Quando torniamo sulle ferite ,siamo assaliti dal rancore, e solo se dimenticassimo l’offesa ricevuta potremmo ricominciare.

Allora qui inizia la mia riflessione: Sappiamo tutti che ci sono ricordi incancellabili, ed esperienze che restano incise nel nostro subconscio per sempre. La memoria che custodiamo in noi, ci fa rivivere tutto ciò che pensavamo fosse dimenticato.

Per questo è necessario saper distinguere tra perdono e oblio che spesso non possono andare di pari passo. Perdonare indubbiamente ci guarisce e ci risana il cuore, così come l'essere perdonati,ma perdonare è una grazia , perché dal mero punto di vista umano è una conquista a volte troppo difficile da raggiungere. Innumerevoli volte ci accorgiamo di essere incapaci di perdonare chi ci ha offeso! Quante volte ancora, ci rendiamo conto dell'esistenza di rancori calcificati dentro la nostra anima che ci offuscano la fiducia verso gli altri!

Il perdono ci può far rialzare e intraprendere un nuovo cammino e ci riconcilia con la vita, con il mondo, con noi stessi e rende il peso più leggero.Ma il passare degli anni ci lascia delle ferite nell'anima. A volte ci sono offese pesanti non perdonate e chiuse dentro di noi, perdonare è comunque una grazia.

Spesso però ci sono sentimenti umani che ci impediscono di farlo, come ad esempio il fatto di pensare che abbiamo ragione, oppure l'ingrandire le dimensioni dell'offesa.

Temiamo che col perdono non stiamo dando il giusto valore a quanto ci è successo, e l’atto stesso di perdonare ci fa pensare di metterci al loro livello, per questo vorremmo che chi ci ha offeso si umiliasse, imparasse una lezione, cambiasse e che non lo ripetesse più.


Dunque il perdono è anche condizionato al cambiamento di un atteggiamento da parte di chi ci ha offesi ledendo la nostra dignità. Così è subordinato al pentimento dell'altro, alla compensazione del danno che ci hanno provocato, e al riconoscimento della propria colpa, con l'impegno a non ricadere nello stesso errore.Ma il perdonare incondizionatamente non è facile e ci resta sempre uno spiraglio di rancore. Una porta aperta all'amarezza, al rifiuto. Non penso che l'oblio sia così tanto facile e comunque che dipende dal danno che abbiamo subito . Ci sono ferite, rancori che pesano a causa di esperienze mai dimenticate. Come si può dimenticare quello che ci ha segnati per sempre? È troppo difficile perché rientra nella nostra storia , e sarebbe come dimenticare qualcosa che ci costituisce, ed è parte della nostra identità.




Quando dimentichiamo, solitamente è perché la ferita è stata superficiale e l'offesa non è stata tanto grande. Le riteniamo parte delle esperienze negative che si sono perse nel passato e a cui non abbiamo ritenuto di dare tanta importanza. D'altronde la memoria è come un bagaglio che viaggia sempre con noi e che ci serve per affrontare la vita, l' imparare dal passato a conoscere la nostra storia e ringraziare offrendolo fra le cose che Dio ci ha donato. La memoria ci aiuta ad andare oltre . cIò che voglio sostenere è che sicuramente bisogna perdonare, ma dimenticare è impossibile!




Ci sono delle ferite insanabili della vita , che spesso sanguinano perché hanno intralciato il nostro cammino e che ricordiamo in modo nitido facendoci domande sul perchè continuiamo a sentirne il male. Dimenticare poi, non è così necessario anzi in certi casi è anche deleterio, inumano . Inoltre per quanto si voglia formattare l'hard disk della memoria, nostro malgrado capita di inciampare nel danno che ci è stato causato e che può essersi prolungato nel tempo modificando la nostra vita per sempre.




A questo proposito , mi torna alla mente la storia di un amico il cui nome è Massimo Coco, figlio del primo procuratore ucciso durante l' agguato terroristico a Genova, il primo della storia eversiva e purtroppo spesso non citato, Francesco Coco.







Massimo nel suo libro “ Ricordare stanca”, a questo proposito dichiara che lui non riesce a perdonare chi uccise suo padre nel periodo in cui era ancora adolescente, privando così anche suo figlio Francesco, che porta il nome dell'illustre nonno, di una parte della memoria storica della sua famiglia e di quella figura che sarebbe stata fondamentale per la sua crescita di figlio, e di nonno per il nipotino. E che lo ha anche privato dei ricordi normali e belli, che qualunque persona dovrebbe avere della propria famiglia.Inoltre Massimo avanza anche un’altro aspetto che non è assolutamente trascurabile , quando sottolinea giustamente , almeno secondo il mio modo di pensare , che per lui non è stata affatto una lezione di vita quell'esperienza, inoltre che ritiene di non avere il diritto di perdonare al posto di suo padre, cioè in vece sua , oppure per contro, di odiare al posto suo.

Per cui a chi esorta il perdono facile si chiede : a voi chi da questo diritto se non lo da nemmeno a me?
Ripenso anche ad un’altra situazione che tocca la mia storia personale,cioè quella di persone che a causa di uno sterminio provocato da menti malate e diaboliche , a causa della Shoah, si trovano esattamente nella situazione di Massimo, nel mio caso addirittura moltiplicato, cioè quella di non avere più una famiglia, poiché, a causa di questa decimazione, la famiglia non ha più potuto crescere nel tempo mancandone la maggior parte degli elementi e quei pochissimi rimasti sono ormai molto anziani.

Questo per una persona significa, che guardandosi attorno durante momenti difficili che nella vita capitano a tutti , e sentendo magari il bisogno di confrontarsi, non riesca purtroppo a trovare volti famigliari, quelli che solitamente si dovrebbero riconoscere anche solo attraverso uno sguardo , un sorriso, quelli che magari altri più fortunati incontrano dopo tanto tempo e che ricordano loro qualcuno che gli è stato prossimo nel passato facendogli esclamare : si, sei proprio tu, ti riconosco perché hai lo stesso modo di sorridere o di parlare, gli stessi occhi di…

Sono certa che pochi riflettono su questo fatto. Riesce a farlo solo chi ha sofferto per queste cose.

Non posso giudicare chi mi ha ferito , è vero, ma posso e devo allontanarmi dalla sua presenza. Non posso desiderare che soffra ciò che ho sofferto io, anche questo è vero, ma devo costruire su quella punto, la mia storia.


Non posso decidere che il ricordo scompaia, ma posso decidere come agire, come trattare colui che incontrerò nuovamente sul mio cammino, come confiderò in lui o diffiderò anche se una volta o più di una, sono stato tradito. Non è facile, ma questo è il cammino per la pace e per l'unità.

Leggevo le parole di un Padre che diceva : “Ci sono punti che non cicatrizzano mai; punti nella vita in cui, anche se me ne ricordo vagamente , tutto si risveglia in me.

Quante divisioni diventano profonde perché non riusciamo a ricominciare! Ci manca la forza per trattare l'altro come se tutto fosse superato, senza ricordargli ciò che è successo è causa sua gettandogli in faccia le sue miserie, ma dipende dall'offesa e dal danno subito...

Ci sono punti della nostra storia che ci costano, ferite che forse non riusciremo mai ad accettare e guarire, cicatrici profonde nella nostra anima che non potremo mai superare del tutto . Ma a me rimane la domanda su quale sia il limite di questo e cioè : Fino a che punto e soprattutto cosa è giusto perdonare? Infondo non siamo perfetti, solo perfettibili


di MLince Grassi