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mercoledì 14 dicembre 2016

Il mio stile di vita : lo Iaido


QUESTO E' SEMPRE STATO E' E SEMPRE SARA' IL MIO MODO DI VIVERE!


- Felicità è quando ciò che pensi, che dici e che fai sono in armonia.
-Coltiva tre cose: la bontà, la saggezza e l’amicizia.
-Cerca tre cose: la verità, filosofia e comprensione.
-Ama tre cose: le buone maniere, il valore ed il servizio.
-Governa tre cose: il carattere, la lingua e la condotta.
-Apprezza tre cose: la cordialità, l’allegria e la decenza.
-Difendi tre cose: l’onore, gli amici e i deboli.
-Ammira tre cose: il talento, la dignità e la grazia. (!!!)
-Escludi tre cose: l’ignoranza, l’offesa e l’invidia.
-Combatti tre cose: la bugia, l’odio e la calunnia.(!!!)
-Conserva tre cose: la salute, il prestigio e il buon umore.
(Jiddu Krishnamurti)

Userai bene la Spada, quando riuscirai a sentire il movimento anche restando completamente immobile.
All’inizio l’arma diverrà tutt’uno con la mano che l’impugna,
poi tutt’uno con il cuore così che diventi arma anche un filo d’erba,
infine dall’assenza dell’arma nella mano e nel cuore, il guerriero sarà in pace.



LA MIA REGOLA di vita:

義, : Onestà e Giustizia

Sii scrupolosamente onesto nei rapporti con gli altri, credi nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da te stesso. Il vero Samurai non ha incertezze sulla questione dell'onestà e della giustizia. Vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

勇, : Coraggio

Elevati al di sopra delle masse che hanno paura di agire, nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere. Un Samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ciò significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso. L'eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.

仁, Jin: Compassione

L'intenso addestramento rende il samurai svelto e forte. È diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune. Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d'aiuto ai propri simili e se l'opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una.a tre cose: la bontà, la saggezza e l’amicizia.
-Cerca tre cose: la verità, filosofia e comprensione.
-Ama tre cose: le buone maniere, il valore ed il servizio.
-Governa tre cose: il carattere, la lingua e la condotta.
-Apprezza tre cose: la cordialità, l’allegria e la decenza.
-Difendi tre cose: l’onore, gli amici e i deboli.
-Ammira tre cose: il talento, la dignità e la grazia. (!!!)
-Escludi tre cose: l’ignoranza, l’offesa e l’invidia.
-Combatti tre cose: la bugia, l’odio e la calunnia.(!!!)
-Conserva tre cose: la salute, il prestig


礼, Rei: Gentile Cortesia

I Samurai non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza. Un Samurai è gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale. Il Samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia ma anche per come interagisce con gli altri uomini.

誠,: Completa Sincerità

Quando un Samurai esprime l'intenzione di compiere un'azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l'intenzione espressa. Egli non ha bisogno né di "dare la parola" né di promettere. Parlare e agire sono la medesima cosa.

名誉, : Onore

Vi è un solo giudice dell'onore del Samurai: lui stesso. Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà. Non puoi nasconderti da te stesso.


忠義, : Dovere e Lealtà

Per il Samurai compiere un'azione o esprimere qualcosa equivale a diventarne proprietario. Egli ne assume la piena responsabilità, anche per ciò che ne consegue. Il Samurai è immensamente leale verso coloro di cui si prende cura. Egli resta fieramente fedele a coloro di cui è responsabile.

MLince Grassi
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giovedì 10 novembre 2016

Il Manifesto di Erice

Negli ultimi 26 anni piu' di 90 mila scienziati di tutto il mondo hanno sottoscritto il 'manifesto di Erice'. L'appello e' stato sottoscritto per la prima volta nel 1982 dal presidente del Centro di cultura scientifica Ettore Majorana :Antonino Zichichi, insieme a due tra i maggiori esponenti della fisica del XX secolo Paul Dirac e Piotr Kapitza.
 Il documento e' rivolto ai potenti della Terra per la diffusione di una scienza senza barriere ideologiche, politiche e razziali per una scienza senza frontiere, ne' segreti, ma al servizio dell'uomo e della pace. Oggi, a piu' di un quarto di secolo di distanza, continuano le adesioni al documento da parte della comunita' scientifica mondiale. Erice  sede dei colloqui di pace tra Israele e Palestina. ''Il muro di Berlino non esiste piu', ma il manifesto e' piu' che mai attuale'', ha affermato Antonino Zichichi. ''Il suo obiettivo - ha aggiunto , era e rimane la lotta ai laboratori segreti, dove si conducono ricerche a scopi militari per l'eliminazione di massa.
Non e' il progresso scientifico ma la violenza politica ed economica ad essere responsabile della corsa agli armamenti e delle 63 emergenze planetarie che affliggono questa nostra navicella spaziale in viaggio attorno al Sole''.
 ''Lo spirito del Centro Majorana, che in 45 anni di attivita', con le sue 123 scuole, ha fatto incontrare piu' di 97 mila scienziati di 140 nazioni del mondo, e' diffondere i valori della scienza'', ha puntualizzato Zichichi.
 Il presidente ha poi concluso sottolineando: ''soprattutto tra i giovani che a Erice, primo esempio di universita' del terzo millennio, possono apprendere dalla viva voce di chi inventa e scopre cose nuove, in tutti i campi dell'umano sapere, le basi di queste invenzioni e scoperte''. Proprio come avveniva a Bologna oltre 900 anni fa, con la nascita della prima Universita'.


MLince Grassi





domenica 6 novembre 2016

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II  CON GLI SCIENZIATI AL CENTRO «ETTORE MAJORANA»

Erice (Trapani) - Sabato, 8 maggio 1993 Gentili Signore e Signori,1. Con gioia sono venuto qui ad Erice per incontrarmi con voi, uomini e donne provenienti da diverse parti del mondo, accomunati da un identico, grande amore per la scienza e dal desiderio di esplorarne gli sconfinati orizzonti a vantaggio dell’intera umanità. Ringrazio il prof. Antonino Zichichi, illustre promotore di questo Centro, e i Signori S. C. C. Ting, Tsung Dao Lee e Kai Siegbahn, per le profonde considerazioni da essi svolte. Mi rallegro vivamente per lo spirito che sostiene questa vostra comunità scientifica, da decenni animatrice di un fecondo interscambio in molteplici discipline, ai più alti livelli della ricerca scientifica su problemi di frontiera, dalla cui soluzione in gran parte dipende il futuro stesso dell’uomo e del pianeta. Grazie per l’invito che mi avete rivolto. L’ho accolto con gioia, anche perché trovo particolarmente significativo che il vostro Centro non si limiti ad interessi specialistici e settoriali, ma ami anzi spaziare in ambiti e questioni di carattere globale, nei quali particolarmente urge un rapporto costruttivo tra le prospettive della scienza e le istanze qualificanti dell’esperienza religiosa. Peraltro, la stessa collocazione logistica di questo vostro Centro in antiche e suggestive strutture appartenenti ai figli del Poverello di Assisi, che conservano tuttora la loro “francescana” semplicità, offre il clima più favorevole per questo incontro cordiale della scienza con la fede, e quasi invita all’inno di lode con cui Francesco, inebriato dalla bellezza del cosmo, e come facendosi voce di tutte le creature, amava elevare il cuore all’“Altissimo, onnipotente e bon Signore”.2. Fin dagli inizi del mio Pontificato mi sono preoccupato di sottolineare che il dialogo tra scienza e fede non solo è possibile, ma essenziale, e mi sono impegnato a rimuovere gli ostacoli che ancora potessero contrastarne la costante crescita. A tal fine mi è sembrato importante il totale superamento di alcuni nodi antichi, che hanno purtroppo pregiudicato la serena intesa tra la Chiesa e la Comunità scientifica. Mi riferisco in particolare agli incresciosi avvenimenti passati alla storia come “caso Galileo”. Fin dal 19 novembre 1979, in un discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, in occasione della commemorazione del centenario della nascita di Albert Einstein, invitai a una serena rivisitazione della controversia copernicano-tolemaica del diciassettesimo secolo. Dissi in tale occasione: “Je donne tout mon appui à cette tâche qui pourra honorer la vérité de la foi et de la science et ouvrir la porte à de futures collaborations” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II/2 [1979], p. 1111). Alla stessa Accademia, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua rifondazione, parlai della necessità di promuovere tale dialogo, e la stessa urgenza volli ribadire in un messaggio per il trecentesimo anniversario della pubblicazione di Isaac Newton, Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, ricordando che scienza e religione sono a servizio della comunità umana, e auspicando una ricerca comune basata su di una critica franchezza e su di uno scambio che possa non solo continuare ma anche accrescersi nella sua qualità e nel suo scopo (cf. Lettera al Rev.do G. Coyne, S. I., Direttore dell’Osservatorio Astronomico Vaticano, 1 giugno 1988). Nella stessa prospettiva sono stato felice di fare mie le conclusioni della Pontificia Commissione che avevo incaricato di esaminare la menzionata controversia. In effetti, “il caso Galileo – osservavo – ha costituito una sorta di mito, nel quale l’immagine degli avvenimenti che ci si era costruita era abbastanza lontana dalla realtà [...]. Una tragica reciproca incomprensione è stata interpretata come il riflesso di una opposizione costitutiva tra la scienza e la fede. Le chiarificazioni apportate dai recenti studi storici ci permettono di affermare che tale doloroso malinteso appartiene ormai al passato” (Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 31 ottobre 1992, n. 10).3. Ma verso quale direzione può orientarsi in futuro il dialogo tra scienza e fede? La mia riflessione prende spunto volentieri da una delle iscrizioni in bronzo inaugurate qui oggi: “Scienza e fede sono entrambe doni di Dio”. In questa sintetica affermazione non soltanto si esclude che scienza e fede si debbano guardare con reciproco sospetto, ma si indica il motivo più profondo che le chiama a stabilire un rapporto costruttivo e cordiale: Dio, comune fondamento di entrambe; Dio, ragione ultima della logica del creato che la scienza esplora, e fonte della Rivelazione con la quale Egli liberamente si dona all’uomo, chiamandolo alla fede, per renderlo, da creatura figlio, ed aprirgli le porte della sua intimità. La luce della ragione, che rende possibile la scienza, e la luce della Rivelazione, che rende possibile la fede, provengono da un’unica sorgente. Sono due traiettorie distinte ed autonome, ma che per loro natura non possono entrare mai in rotta di collisione. Quando si dovesse registrare una qualche frizione, essa sarebbe il sintomo di una incresciosa patologia. Per questo il Concilio Vaticano II ha affermato la legittima autonomia e il valore immenso della conoscenza scientifica (cf. Gaudium et spes, 59). La Chiesa anzi non esita a riconoscere che ogni autentico progresso scientifico – ed analogamente ogni avanzamento tecnologico che veramente serva al benessere integrale dell’uomo – va considerato come un inestimabile dono di Dio.4. In che senso la scienza è “dono” di Dio? Una simile affermazione potrebbe risultare ambigua, addirittura provocatoria per il non credente, se la si intendesse come attenuazione della capacità naturale della mente, attraverso rigorosi procedimenti logico-conoscitivi, di cogliere la realtà. Ma un tale senso è così lontano dal pensiero della Chiesa, che finanche nel dominio della fede essa respinge un “fideismo” cieco (cf. Denzinger-Schönmetzer, 3009). A maggior ragione è da riconoscere la naturale capacità della mente umana di attingere la verità negli ambiti propri dell’esperienza e della conoscenza del mondo. Riconoscere ciò, lungi dall’escludere il “dono” di Dio, piuttosto lo suppone. Basti infatti considerare che l’uomo, e il mondo nel suo complesso, in quanto creature, sono costitutivamente un “dono”, sgorgato dal libero disegno dell’amore divino. “Che mai possiedi – ricordava l’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto – che tu non abbia ricevuto?” (1 Cor 4, 7). Ma al di là di questo dono fontale e costitutivo, tutto il cammino dell’essere umano attraverso i molteplici sentieri dell’esistenza, compreso quello esaltante della conoscenza scientifica, è accompagnato dalla Provvidenza divina, che senza nulla togliere al ruolo dell’intelligenza, la segue, la illumina e la orienta, in un misterioso dialogo con l’umana libertà. In Dio, dunque, pur nella diversità dei loro cammini, scienza e fede trovano il loro principio di unità. Lo stesso Dio che si è manifestato nella Rivelazione, è anche Colui che ha lasciato la sua orma nel grande libro della natura, e si rende misteriosamente presente nella storia con la sua Provvidenza. “In lui – disse Paolo agli Ateniesi – viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17, 28). Si può talvolta non riconoscere la sua mano, e c’è purtroppo anche tra gli scienziati chi apertamente la nega. Ma è proprio la storia della scienza, con la sua innegabile quanto inesauribile perfettibilità, ad escludere un fatuo orgoglio scientista e a suggerire alla scienza, insieme col coraggio e la fiducia della ricerca, la saggezza dell’umiltà, almeno nel lasciare aperto l’interrogativo metafisico sul principio ultimo e trascendente dell’esistenza. Del resto, nessuno più dello scienziato, quotidianamente alle prese con il mistero della natura, costretto a raccoglierne spesso solo delle briciole e a confessarne l’incatturabile immensità, è in grado di sentire i progressi della sua conoscenza come un “dono”, un dono non di rado insospettato, che riempie di meraviglia, e fa fiorire sulle labbra e nel cuore il sentimento della “riconoscenza”. Questo grato e sempre nuovo stupore dell’intelligenza è il naturale terreno 2 dell’incontro tra la scienza e la fede. Albert Einstein significativamente affermò: “Quello che è eternamente incomprensibile nel mondo è proprio il fatto che esso è comprensibile” (cf. “Journal of the Franklin institute”, 1986, vol. 221, n. 38). Si tratta di un incoercibile senso di stupore che il credente traduce in slancio di preghiera, quando coglie nel mistero del mondo l’eco di un Mistero più grande, ed esclama col salmista: “O Signore nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra!” (Sal 8, 2).5. Il dialogo tra scienza e fede, nel rispetto dei reciproci ambiti, è doppiamente necessario sul terreno della conoscenza scientifica applicata. Qui infatti alla dimensione, per così dire, contemplativa, che comporta già di per sé un risvolto morale, si aggiunge un’istanza di carattere operativo implicante decisamente in campo pratico il discernimento etico. Giustamente si distingue in proposito tra scienza e tecnologia. È sul piano della scienza applicata che l’umanità sperimenta, nel bene e nel male, la potenza della conoscenza scientifica. Se la vita dell’uomo corre oggi enormi pericoli, non è a causa della verità scoperta mediante la ricerca scientifica, ma per le applicazioni di morte che ne sono state fatte sul piano tecnologico. In un’altra iscrizione riprodotta qui nel vostro Centro si legge: “Come al tempo delle lance e delle spade, così anche oggi nell’era dei missili, ad uccidere, prima delle armi è il cuore dell’uomo”. È giusto però notare che tale distinzione, facile in teoria, è più difficile in pratica, giacché, nel concreto della vita, tra ricerca scientifica e tecnologia esiste una naturale connessione. Ambedue, pertanto, devono farsi carico di una precisa responsabilità etica in rapporto alle loro connessioni ed applicazioni. La posta in gioco è troppo grande, perché la si possa considerare con leggerezza. La situazione attuale del mondo, purtroppo, non sembra molto cambiata rispetto a come la descrivevo alcuni anni fa nel citato messaggio: “So much of our world seems to be in fragments, in disjointed pieces. So much of human life is passed in isolation or in hostility. The division between rich nations and poor nations continues to grow; the contrast between northern and southern regions of our planet becomes ever more marked and intolerable. The antagonism between races and religions splits countries into warring camps; historical animosities show no signs of abating. Even within the academic community, the separation between truth and values persists, and the isolation of their several cultures – scientific, humanistic and religious – makes common discourse difficult if not at times impossible” (Lettera al Rev.do George V. Coyne, S. I., cit.).6. Siamo stati testimoni in questi ultimi anni di rapidi e sorprendenti mutamenti sociali. Tra questi come non menzionare il superamento della rigida divisione del mondo in blocchi ideologici, e politici e militari contrapposti? È grazie a questo evento che è stato allontanato, almeno in gran parte, il pericolo dell’“olocausto nucleare”. In questo stesso arco di tempo, tuttavia, hanno raggiunto livelli di estrema pericolosità altre emergenze di carattere planetario, che lasciano intravedere il rischio di una sorta di “olocausto ambientale”, dovuto alla improvvida distruzione di vitali risorse ecologiche e al moltiplicarsi di attentati sempre più insidiosi alla difesa e al rispetto della vita umana. La sfrenata corsa all’accaparramento e allo sfruttamento dei beni della terra da parte di pochi privilegiati pone le premesse di un’altra forma di guerra fredda, questa volta tra Nord e Sud del pianeta, tra Paesi altamente industrializzati e Nazioni povere, che non può non impensierire quanti hanno a cuore le sorti del mondo. Sull’orizzonte dell’umanità incombono nuovamente nubi minacciose.7. Illustri membri e collaboratori di questa Comunità scientifica, nel rinnovarvi l’espressione del mio sincero apprezzamento per aver saputo con lungimirante tempestività porre al centro della vostra ricerca le attese e le sfide del mondo d’oggi, sento il dovere di esortarvi a farvi generosamente carico delle vostre responsabilità. Per affrontare e risolvere la minaccia di un olocausto ambientale c’è bisogno di scienziati che, come voi, sappiano offrire il loro apporto in maniera competente, coordinata, perseverante. Vi sono grato per quanto già state facendo in questo senso. Vi ringrazio anche per avermi offerto, come omaggio graditissimo, i risultati della vostra attività, preludio ad ulteriori conquiste per il bene dell’umanità. Apprezzo in particolare l’impegno profuso a favore di giovani studiosi provenienti da Paesi in via di sviluppo, affidati alla guida sollecita di eminenti uomini di scienza, che offrono volontariamente la loro opera. Siatene certi: il volontariato scientifico è una delle forme più nobili di amore per il prossimo.8. Un’altra frase incisa nell’opera bronzea del Maestro Umberto 3 Mastroianni ricorda: “L’uomo può perire per effetto della tecnica che egli stesso sviluppa, non della verità che egli scopre mediante la ricerca scientifica”. Quando l’attività scientifica incide positivamente sul rispetto e la tutela della dignità dell’uomo, contribuisce in maniera significativa alla costruzione della pace. È pertanto necessario promuovere instancabilmente una cultura scientifica, capace di guardare sempre a “tutto l’uomo” e a “tutti gli uomini”, al servizio del bene e della solidarietà universale. Riveste, in proposito, grande rilevanza il progresso del dialogo tra scienza e fede. Dobbiamo impegnarci insieme a ristabilire il nesso tra verità e valori, tra scienza e impegno etico. Dobbiamo essere tutti veramente convinti che il progresso è tale se è al servizio del genuino e integrale benessere degli individui e di tutta la famiglia umana. Mi preme dunque ribadire ancora una volta quello che ho più volte sottolineato, e cioè che, se compito principale della scienza è ricercare la verità nella piena e legittima libertà che le appartiene, non è permesso tuttavia agli scienziati astrarre dalle implicazioni etiche concernenti i mezzi della loro ricerca e l’uso stesso delle verità scoperte (cf. Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 31 ottobre 1992, n. 13). La bontà etica non è che un altro nome della verità, quando essa è cercata dall’intelletto pratico. Non si può oscurare ed offendere la dimensione pratica della verità, senza che alla lunga ne derivi un pregiudizio alla percezione anche dei suoi aspetti “teorici”, almeno in quei settori che comportano più immediati risvolti di carattere operativo. Il vostro Centro è sensibile alla prospettiva di una scienza veramente “globale”, e sono lieto di constatare che avete dedicato gran parte del tempo e dell’impegno proprio a curare il dialogo riguardante le implicazioni etiche di varie scoperte nell’ambito delle scienze fisiche e biologiche. Consentitemi, per questo, di ripetervi la mia “ammirazione”, esprimendovi nel contempo il più vivo incoraggiamento. La mia fondata speranza è che la Chiesa e la Comunità scientifica condividano, in un fecondo dialogo sempre più intenso e cordiale, le loro ricchezze di conoscenza e di esperienza, perché tutte le creature possano partecipare alla realizzazione del progetto amoroso di Dio.Sperimenteranno così l’abbondanza della benedizione divina: “Siate benedetti dal Signore che ha fatto cielo e terra!” (Sal 115, 15), benedizione che volentieri imploro oggi su questo vostro Centro “Ettore Maiorana” e sull’intera Comunità scientifica di Erice. La pace è sempre frutto dell’amore. Voi scienziati che coltivate soprattutto l’intelletto siete anche cultori dell’amore


Fonte Qui



Erano presenti 10.000 Scienziati provenienti da 115 Nazioni del Mondo = la WFS ( World Federation of Scientists )


MLince Grassi





Lettera di Albert Einstein al Presidente Roosvelt


2 agosto 1939


Signor Presidente,

la lettura di alcuni recenti lavori di E.Fermi e di L.Szilard, comunicatimi sotto forma di manoscritto, mi induce a ritenere che, tra breve, l'uranio possa dare origine a una nuova e importante fonte di energia. Alcuni aspetti del problema, prospettati in tali lavori, dovrebbero consigliare all'Amministrazione la massima vigilanza e, se necessario, un tempestivo intervento. Ritengo quindi mio dovere richiamare la Sua attenzione su alcuni dati di fatto e suggerimenti.

Negli ultimi quattro mesi, grazie agli studi di Joliot in Francia e di Fermi e Szilard in America, ha preso sempre più consistenza l'ipotesi che, utilizzando un'adeguata massa di uranio, vi si possa provocare una reazione nucleare a catena, con enorme sviluppo di energia e formazione di un gran numero di nuovi elementi simili al radio: non vi è dubbio che ciò si potrà realizzare tra breve.

In tal modo si potrebbe giungere alla costruzione di bombe che - è da supporre - saranno di tipo nuovo ed estremamente potenti. Uno solo di tali ordigni, trasportato via mare e fatto esplodere in un porto, potrebbe distruggere l'intero porto e parte del territorio circostante. D'altra parte, l'impiego di queste armi potrebbe risultare ostacolato dal loro eccessivo peso, che ne renderebbe impossibile il trasporto con aerei.

Negli Stati Uniti esistono solo modeste quantità di minerali a bassa percentuale di uranio; minerali più ricchi si trovano in Canada e nella ex Cecoslovacchia, benché i più cospicui giacimenti uraniferi siano nel Congo belga.

Alla luce delle precedenti considerazioni, Ella converrà con me, Signor Presidente, sull'opportunità di stabilire un collegamento permanente tra il governo e il gruppo di fisici che, in America, lavorano alla reazione a catena, collegamento che potrebbe essere facilitato dalla nomina di un responsabile di Sua fiducia, autorizzato ad agire anche in veste non ufficiale. A tale persona dovrebbero essere affidati, fra l'altro, i seguenti compiti:

a) mantenersi in contatto con i Dipartimenti interessati per tenerli al corrente di eventuali sviluppi e suggerire al governo misure atte ad assicurare la fornitura di uranio;

b) accelerare il lavoro di ricerca nel settore, attualmente svolto nei limiti di bilancio dei laboratori universitari, sollecitando, all'occorrenza, forme di finanziamento volontario da parte di privati disposti a contribuire alla causa, e assicurandosi altresì la cooperazione di laboratori industriali dotati delle attrezzature necessarie.

Mi si dice che la Germania, subito dopo l'occupazione della Cecoslovacchia, ha posto l'embargo sull'uranio proveniente da questo paese, il che non stupisce, quando si pensi che il figlio del Sottosegretario di Stato tedesco, von Weisszäcker, è membro del Kaiser- Wilhelm-Institut di Berlino, dove sono attualmente in corso esperimenti con uranio, analoghi a quelli svolti in America.

Distintamente

Albert Einstein

   RISPOSTA DEL PRESIDENTE ROOSEVELT AL Dr. EINSTEIN


Casa Bianca Washington 19 Ottobre 1939


Mio caro Professore:

Voglio ringraziarla per la sua recente lettera e per l'ancor più interessante e importante allegato. Io trovo questi dati di tale rilevanza che ho convocato una Commissione formata dal capo del Bureau of Standards e da una scelta rappresentanza dell'Esercito e della Marina per investigare a fondo le possibilità della Vostra proposta riguardante l'elemento uranio. Sono lieto di dire che il Dr. Sachs coopererà e lavorerà con questa Commissione e sento che questo è il metodo più pratico ed efficace di trattare la questione. La prego di accettare i miei sinceri ringraziamenti. Molto sinceramente il suo,






Il Progetto Manhattan



Nel gennaio del 1939 il fisico danese Niels Bohr e il fisico belga Leon Rosenfeld si recarono negli Stati Uniti e informarono i colleghi del fatto che in Germania Otto Hahn e Fritz Strassmann nel dicembre del '38 erano riusciti a produrre la fissione di atomi di uranio bombardati con neutroni lenti, e dell'interpretazione che nel giro di pochi giorni Lise Meimer e Otto Frish, rifugiatisi in Svezia per scampare alle persecuzioni dei nazisti, avevano dato dei risultati ottenuti da Hahn e Strassmann. Nel giro di poche settimane gli esperimenti furono ripetuti da diversi gruppi negli Usa. In questo modo fra i fisici nucleari che lavoravano negli Stati Uniti su questo problema si fece strada rapidamente la consapevolezza che mediante la realizzazione di una reazione a catena di fissione dell'uranio si potesse costruire una superbomba nucleare di inaudita potenza distruttiva.

All'inizio dell'estate del 1939 Leo Szilard, Edward, Teller e Eugene Wigner, fisici ungheresi in esilio negli Stati Uniti per ragioni politiche, seppero che la Germania nazista aveva posto l'embargo sull'uranio cecoslovacco. Molto allarmati dalla possibilità che i tedeschi stessero preparandosi ad utilizzare la fissione dell'uranio per sviluppare armi nucleari, convinsero Albert Einstein, rifugiatosi negli Stati Uniti dal 1933 a seguito delle leggi razziali, a firmare una lettera, da loro scritta ai primi di agosto, al Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt per avvertirlo del pericolo. La lettera fu presentata al Presidente dal suo consigliere scientifico, il banchiere di origine russa Alexander Sachs soltanto l'11 ottobre 1939, quando la guerra in Europa era già scoppiata. [ la lettera nel prossimo articolo].

In seguito alla lettera di Einstein, Roosevelt decise di dare vita a un Uraníum Conimittee (UC), sotto la direzione di Lyman Briggs, presidente del National Bureau of Standards (NBS), con lo scopo di studiare le possibili applicazioni pratiche del processo di fissione dell'uranio. I fondi per le ricerche sull'uranio, che ammontavano inizialmente alla cifra irrisoria di 6000 dollari l'anno, furono forniti inizialmente al NBS dall'esercito e dalla Marina Usa. Tuttavia fino alla metà del 1940 le ricerche condotte dall'UC procedettero con un'esasperante lentezza provocando notevoli frustrazioni fra gli scienziati che vi lavoravano.

Ma nella primavera del 1940 scese in campo Vannevar Bush che cominciò ad affrontare con decisione il problema di mobilitare la comunità scientifica per la difesa. Bush, professore di ingegneria elettrica presso il (MIT), nel corso degli anni '30 era stato nominato preside della facoltà di ingegneria e vicepresidente del M1T stesso, il cui presidente era il fisico Karl Taylor Compton. La sua influenza negli ambienti scientifici e politici crebbe ulteriormente a partire dal 1939, quando si trasferì a Washington come presidente della più importante organizzazione privata per la ricerca, la Cárnegie Instítution of Washington (Ciw) e fu anche nominato presidente del National Advisory Commíttee for Aeronautics (NACA).

Dopo l'invasione della Francia da parte della Germania nel maggio del 1940, Bush organizzò una serie di incontri con Compton, con il chimico James Conant, presidente dell'Università di Harvard, Richard C. Tolman, rettore del California Institute of Technology (CalTech), Frank Jewett, ex presidente dei Bell Telephone Laboratories e presidente della NAS, con lo scopo di mettere a punto un piano dettagliato per la costituzione di un nuovo ente federale finanziato dal Governo, che avesse il compito di mobilitare la comunità scientifica e tecnologica degli Stati Uniti per effettuare ricerche riguardanti la difesa nazionale e la progettazione di nuove armi. Il piano fu presentato a Roosevelt il 27 giugno 1940 che approvò seduta stante l'istituzione dell'organizzazione promossa da Bush, il National Defense Research Committee (NDRC, finanziata con fondi per l'emergenza nazionale concessi dal Congresso al presidente, e chiamò Bush a presiederla. L'UC fu posto da Roosevelt sotto l'egida dell'NDRC.

Inizialmente Bush si limitò a spingere la Crw a sostenere le ricerche sulla separazione degli isotopi dell'uranio con tecniche di centrifugazione. Il problema della separazione degli isotopi dell'uranio era di importanza fondamentale per la possibile realizzazione di una reazione a catena, perché l'uranio che si trovava in natura era composto da una miscela di isotopi: quasi tutto U238, non fissile, mentre l'isotopo fissile U235 rappresentava soltanto lo 0,77% della miscela.

Nella primavera del 1941 l'UC si rivolse a Ernest Lawrence per chiedergli di affrontare con il suo gruppo di Berkeley il problema di isolare l'elemento 94 e di verificare se fosse fissionabile. All'inizio del '41 infatti il giovane chimico fisico Glenn T. Seaborg utilizzando il ciclotrone di Berkeley aveva bombardato con neutroni l'U238 riuscendo a "trasformarlo" nell'elemento 94, chiamandolo plutonio. Si pensava, sulla base di considerazioni teoriche, che il plutonio fosse fissile come l'U235 e quindi utilizzabile come materiale per la costruzione di una bomba nucleare. Inoltre lo stesso Lawrence aveva cominciato ad affrontare utilizzando il ciclotrone il problema della "separazione elettromagnetica" degli isotopi dell'uranio.
In seguito a questi risultati Lawrence si convinse subito che il processo di fissione poteva essere utilizzato per la costruzione di esplosivo nucleare e cominciò a esercitare pressioni su Bush perché l'attività dell'UC venisse potenziata assumendo un gruppo permanente di tecnici e scienziati e nominando un comitato di consulenti, fra cui lo stesso Lawrence.

Il 14 aprile del '41 il fisico di origine tedesca Rud Ladenburg, che risiedeva a Princeton, inviò a Briggs la lettera seguente:

"Caro Dr. Briggs,
può interessarla di sapere che un mio collega, arrivato da Berlino via Lisbona alcuni giorni fa, ha portato il seguente messaggio: un collega affidabile che sta lavorando in un laboratorio di ricerche tecniche gli ha chiesto di farci sapere che un gran numero di fisici tedeschi sta lavorando intensamente sul problema della bomba all'uranio sotto la direzione di Heisenberg, che lo stesso Heisenberg sta cercando di rallentare il lavoro per quanto è possibile, temendo i catastrofici risultati di un successo, ma non può fare a meno di adempiere gli ordini a lui dati, e se il problema può essere risolto, sarà probabilmente risolto in vicino futuro. Così ci ha consigliato di affrettarci se gli USA non vogliono arrivare troppo tardi".

Questa lettera contribuì sicuramente a rafforzare il già diffuso convincimento che il programma di ricerche della Germania nazista sulla bomba atomica avesse ormai raggiunto uno stadio molto più avanzato dei corrispondenti programmi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna.

Ai primi di maggio del '41 Kenneth Bainbridge, di ritorno dall'Inghilterra, informò i membri del Comitato Consultivo della NAS che gli inglesi erano convinti che si potesse realizzare la costruzione di una bomba atomica entro due anni. Da cosa nasceva l'ottimismo degli scienziati inglesi sulle prospettive di riuscire a costruire in tempi brevi una bomba all'uranio? Uno degli ostacoli principali da superare nella costruzione di una bomba all'uranio riguardava, come si è detto, il problema della separazione degli isotopi, in modo da isolare una sufficiente quantità dell'isotopo raro U235.



Gli inglesi erano tuttavia giunti alla conclusione che per raggiungere la cosiddetta "massa critica" (cioè la massa minima di materiale fissile necessaria per la realizzazione di una bomba a fissione) erano necessari circa 10 kg di U235, e che quest'ultimo potesse essere separato dall'U238 mediante il metodo della diffusione gassosa. Anche negli Stati Uniti il fisico chimico Harold Urey, che aveva vinto il premio Nobel per la scoperta del deuterio fatta nel 1932, e il fisico John Dunning avevano cominciato a effettuare ricerche per la messa a punto di questa tecnica per la separazione degli isotopi dell'uranio presso la Columbia University.

Tuttavia il rapporto del Comitato Consultivo della NAS, completato il 17 maggio 1941, pur sottolineando che la fissione nucleare poteva essere utilizzata per la propulsione di navi e per produrre sostanze radioattive da utilizzare contro truppe nemiche e popolazioni civili, concludeva che esisteva soltanto "una possibilità molto remota" di utilizzare la fissione per costruire bombe atomiche, in stridente contrasto con le conclusioni in proposito a cui erano giunti gli scienziati inglesi. Il Comitato Consultivo concludeva raccomandando che le ricerche promosse dall'UC continuassero con un budget di 350.000 dollari per altri sei mesi, e che successivamente un nuovo comitato riprendesse in esame il problema sulla base dei risultati ottenuti.



Il secondo rapporto del Comitato Consultivo della NAS fu presentato a Bush e Conant l'11 luglio del '41. Anche questa volta il rapporto del Comitato sottolineava come non si potessero ancora fare valutazioni precise sulle possibili applicazioni della fissione, ma raccomandava che le ricerche fondamentali sull'uranio continuassero, con un budget di 550.000 dollari, per un altro anno al cui termine l'intera questione avrebbe dovuto essere riesaminata.

Tuttavia in appendice al rapporto era annessa una relazione di minoranza di Lawrence che raccomandava l'immediata produzione su vasta scala dell'elemento 94, prevedendo la possibilità di costruzione di reattori nucleari e di super bombe al plutonio.



Il 3 ottobre del '41 Bush e Conant ricevettero da Thomson, presidente della equivalente commissione inglese (MAUD), il rapporto ufficiale, le cui conclusioni erano molto ottimistiche sia per quanto riguardava l'utilizzazione di tecniche di separazione degli isotopi dell'uranio che per le prospettive di costruzione di una bomba atomica. Lo stesso giorno Bush chiese a Jewett chiese udienza a Roosevelt.

L'incontro con Roosevelt avvenne il 9 ottobre alla presenza del vicepresidente Henry Wallace. Secondo i resoconti ufficiali, "la decisione che gli Stati Uniti dovessero esaminare se era possibile costruire una bomba atomica fu presa nella massima segretezza da Franklin D. Roosevelt il 9 ottobre 1941. Quel giorno il Presidente non approvò né la costruzione di impianti né ancor meno la fabbricazione di bombe..Il 21 ottobre un nuovo rapporto del Comitato, in netto contrasto con i primi due, arrivava alla secca conclusione che "una bomba a fissione di potenza eccezionalmente distruttiva si potrà ottenere portando rapidamente insieme una massa sufficiente dell'elemento U235. Ciò sembra essere vero come può esserlo qualsiasi previsione fondata teoricamente e sperimentalmente, ma non realizzata". Il rapporto valutava che il costo dell'intero progetto avrebbe raggiunto un totale di 133 milioni di dollari, mentre la somma effettivamente spesa dal giugno del '42 all'agosto del '45 superò i 2 miliardi di dollari.

MLinceGrassi

Fonte Qui




martedì 1 novembre 2016

PRESENTAZIONE DEL LIBRO "TRA I PAPAVERI ROSSI DI CASSINO" di Mary Pace

Sono lieta e onorata di ospitare nel mio blog la presentazione di questo libro scritto dalla cara amica nonchè Comandante Mary Pace , riportandone la descrizione :

DEDICA
 Questo libro è dedicato a tutti i Paracadutisti che hanno combattuto durante la Seconda Guerra Mondiale. Mi riferisco, innanzi tutto, ai leggendari Leoni della Folgore, fior fiore di un Esercito e di un Popolo in armi, i quali si sono distinti sul campo di battaglia di El Alamein, scrivendo col sangue e con l'estremo sacrificio una delle pagine di maggior eroismo, che la Storia possa ricordare. Senza viveri, né munizioni, quei valorosi Leoni hanno saputo combattere fino all'ultimo, andando oltre la stessa morte. Con impareggiabile ardimento, hanno affrontato l'impensabile, superando ogni umano limite. Non hanno alzato le mani in segno di resa, né hanno sventolato "bandiera bianca". Sono caduti per la Patria, senza rimpianti. Il loro valore è stato riconosciuto ed ammirato perfino dal nemico. Questi sono i Leoni della Folgore, le cui gesta hanno dato vita ad una imperitura leggenda, scolpita nel marmo per l'eternità. Sono l'orgoglio assoluto della nostra Patria, un fulgido esempio di eroismo, cui le nuove generazioni devono necessariamente ispirarsi. Tale opera vuole rappresentare un tributo anche ad un altro elitario Corpo scelto, ossia i Paracadutisti della Wehrmacht, appartenuti alla I Divisione Hermann Göering. Temuti dal nemico stesso, tanto da essere definiti Green Devils, anch'essi hanno dato ampia prova del loro estremo valore, sopravvivendo a Montecassino, tra i resti del Monastero Benedettino. Senza viveri, allo stremo della resistenza ed intrappolati in quelle macerie, hanno eroicamente difeso un brandello di terra, che nemmeno apparteneva alla loro Nazione. Un pugno di valorosi Diavoli Verdi è riuscito a fermare, per ben 6 mesi, le soverchianti e meglio armate Divisioni alleate, tenendo la Linea Gustav oltre ogni limite e ritardando così la marcia del nemico, che avanzava verso Roma. I Leoni della Folgore ed i Green Devils tedeschi hanno donato la loro giovinezza, per inseguire e difendere una nobile causa. Hanno resistito alle più avverse ed inimmaginabili condizioni. Hanno vissuto e lottato, avendo costantemente accanto il gelido spettro della morte. Sono caduti sul campo, ma le loro gesta riecheggiano per l'eternità. Onore imperituro ai ragazzi della Folgore e della Hermann Göering! Onore alla odierna Brigata Paracadutisti Folgore, custode di quegli aristocratici ideali di puro patriottismo, nonché erede spirituale di quelle gloriose imprese, compiute da chi ha preferito combattere e sacrificare tutto se stesso, pur di mantenere alto l'Onore! FOLGORE!

La redazione dell' opera letteraria, dal titolo "Tra i Papaveri Rossi di Cassino", è strettamente ed intimamente collegata alla odierna situazione geopolitica, caratterizzata purtroppo da un alto indice di instabilità. In molte zone del globo, come il Grande Medio Oriente, il Sud-Est Asiatico e l'Ucraina, si registrano preoccupanti e destabilizzanti tensioni, che potrebbero facilmente degenerare in una tanto assurda quanto letale "escalation" bellica. Protagoniste del devastante scontro militare sarebbero le maggiori potenze mondiali, dotate delle famigerate "armi di distruzione di massa", consistenti in potenti arsenali nucleari, così come in nocivi agenti chimici e batteriologici.
La Storia ci ha insegnato che tutte le guerre, che sono state combattute fin dalla notte dei tempi, immancabilmente abbiano cagionato indicibili sofferenze e determinato lo scorrere di moltissimo sangue. Le operazioni belliche sono portatrici di distruzione e morte.
Nel caso in cui, nella nostra epoca, dovesse scoppiare una guerra mondiale, sebbene di tipo "convenzionale", ovvero laddove non siano impiagate le terrificanti armi di distruzione di massa, ci attenderebbe comunque un lungo e funesto periodo. Le operazioni militari non risparmierebbero nemmeno l'indifesa popolazione civile, come peraltro la Storia ci ha tristemente insegnato, tramite il compimento di operazioni di bombardamento strategico a tappeto. Esse sono state scientemente predisposte contro obiettivi che non rivestissero alcuna importanza strategica, bensì esclusivamente essendo finalizzate ad annichilire il morale della inerme popolazione.
Proprio per tali imprescindibili motivi, assolutamente non dobbiamo dimenticare ciò che sia successo più di settanta anni fa.
Comunque, nulla vieterebbe, anzi, vi sarebbero buone possibilità, che una nuova guerra mondiale possa degenerare in un devastante conflitto nucleare, tale da rappresentare davvero l'apocalisse.
Sulla diplomazia dei vari Paesi, pertanto, grava un delicatissimo onere, poiché essa è soggetta all'obbligo morale e politico di adoperarsi proficuamente, affinché si eviti la reiterazione dei tremendi errori del passato, consistenti nella genesi di quelle tensioni internazionali che, irrimediabilmente, hanno condotto ad un conflitto globale.
Nessuno desidera uno scenario del genere. Tuttavia, come noto, non è la popolazione ad assumere le decisioni. Sono i capi di Stato e di Governo a decretare la nostra fine. Lo scettro del comando è nelle loro mani. Ciononostante, a morire sul campo sono i soldati e i civili, non certamente la classe politica che governa una nazione.
Ho scelto di scrivere questo libro proprio perché la persone comuni possano prendere contezza dell'orrore che una guerra è in grado di produrre. La popolazione è costretta a patire indescrivibili supplizi. Si soffre la penuria di acqua, cibo e medicinali. Le case sono rase al suolo dai bombardamenti nemici. Si interrompono i servizi pubblici essenziali, come l'utilizzo della corrente elettrica e l'impiego degli ordinari mezzi di locomozione. Non c'è posto negli ospedali, che debbono ricoverare sempre più feriti. Scarseggiano i medici. I cadaveri con le carni dilaniate sono abbandonati nelle strade, in totale stato di decomposizione.
Il mio testo è ambientato nel 1944, penultimo anno della Seconda Guerra Mondiale, a Cassino. Quest'ultima è stata nominata "città martire", poiché luogo di morte di un impressionante numero di soldati, oltre che di civili. In quella zona, le persone hanno sofferto le pene dell'inferno. Ogni giorno, Cassino ospita molti soldati stranieri, i quali, novantenni, tornano a visitare quei posti. Nel cuore di ogni militare o civile, che abbia vissuto quel luttuoso periodo, la guerra traccia un solco indelebile, scavato dall'afflizione e dal tormento. Oppure, in tale città giungono i figli ed i nipoti di coloro che hanno combattuto e sono caduti in quelle zone.
A Cassino, il fronte è durato ben sei lunghi mesi di intense e cruenti battaglie. Il primo a raggiungere quelle zone, durante la guerra, fu il Generale Fridolin Rudolf Theodor von Senger und Etterlin. Essendo un cattolico praticante, prima di mobilitare le sue truppe a Cassino, egli si recò direttamente dall'Abate Diamare. L'alto Ufficiale tedesco, infatti, desiderava partecipare alla celebrazione del rito della messa. Il generale mai avrebbe immaginato che lì, a Cassino, si sarebbe attestata la sua ultima resistenza, per così tanti mesi. Comunque, egli ricevette il perentorio ordine di fermarsi e dispiegare le proprie forze a Cassino, virtualmente lungo la "Linea Gustav", che doveva essere tenuta ad ogni costo, anche della stessa vita. Essa, infatti, costituiva il punto più stretto dell'Italia e, dunque, la zona più favorevole per arrestare l'avanzata degli Alleati.
Le truppe germaniche sono state schierate a dicembre, quindi all'inizio della stagione invernale. Quell'anno, peraltro, si dimostrò particolarmente freddo. Si verificarono anche copiose nevicate, oggi, invece, ormai assenti. I soldati tedeschi, rifugiati nei bunker, e non, come erroneamente asserito dagli USA, all'interno dell'Abbazia di Montecassino, soffrirono anche a causa del pungente freddo, con temperature proibitive, oltre che per la fame, i bombardamenti e, ovviamente, la paura. Lo spettro della morte era sempre al loro fianco.
Si è trattato di una guerra combattuta a colpi di mitragliatrici, cannoni, mortai, bombe a mano, pertanto a breve distanza tra gli schieramenti nemici. Ovviamente, ancora non esistevano tutte quelle armi sofisticate di adesso, che possono determinare maggiori danni e che sono caratterizzate da gittata e precisione ben superiori.
Il "Fiume Rapido" rivestì una certa importanza nella battaglia di Cassino. Infatti, si combatteva sia dall'altra parte della città, ovvero verso il monte sulla cui sommità si erigeva il monastero benedettino, sia dove fosse ubicata la Casilina.
Le truppe USA tentarono più volte di oltrepassare il "Fiume Rapido". Soprattutto, fu la 36esima Divisione Texas che provò a raggiungere l'altra sponda, mediante dei battellini di gomma, i quali si foravano facilmente sotto il fuoco delle mitragliatrici tedesche. Inoltre, le truppe germaniche avevano minato il fondo del fiume. Moltissimi soldati alleati caddero proprio durante tale attraversata, tant'è che l'acqua si tinse di rosso.
La sottoscritta è stata spronata a narrare gli eventi bellici di Cassino. Mia madre, infatti, mi raccontava sempre che, durante il parto, mentre io venivo alla luce, i vetri delle finestre si ruppero. La mia nascita è stata certamente un bellissimo evento, foriero di immensa felicità, ma, nel contempo, anche triste e cupa, poiché essa si verificava proprio sotto i bombardamenti. Come se, tra me e quella battaglia, esistesse un cordone ombelicale, che avrebbe per sempre unito il mio destino a quei drammatici fatti.

di Mary Pace

MLince Grassi
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